In allegato un articolo del tempo che racconta il primo collegamento radiotelefonico tra America ed Europa. Di seuito breve storia del radiofonia


All’inizio del 900 la RADIOTELEGRAFIA si sviluppa in tutto il mondo, mentre sono incerti, almeno fino agli anni ’20, gli sviluppi della RADIOFONIA.

 

Nel dicembre 1906, il fisico canadese Reginald ………. trasmette la sua voce nel Massachussets: è il primo esperimento.

Nel gennaio 1910 l’ingegnere americano Lee De Forest (inventore del triodo o audium, che avrebbe costituito la base degli amplificatori fino all’avvento dei transistor e delle radioline portatili negli anni ‘50) trasmette la voce di Enrico Caruso durante un’esibizione al Metropolitan di New York.

Nel 1913 a Laekem, in Belgio, viene attivata la prima stazione radiofonica; ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è incombente, e l’invasione del Belgio da parte delle truppe tedesche determina lo smantellamento della stazione.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, il 6 novembre 1919, una serie di concerti viene trasmessa all’Aia.

Negli Stati Uniti gli echi della guerra erano stati molto lontani; nel 1917 l’American Radio and Research Corporation aveva chiesto il permesso di iniziare la sperimentazione e, nel 1919, la General Eletric (società che deteneva i brevetti di Guglielmo Marconi) dà vita alla RCA, che si sarebbe poi rivelata la casa madre della NBC la quale, dal 1926, sarebbe stata la prima stazione radio nazionale.

 

Le ragioni per cui gli esiti della RADIOFONIA nel primo ventennio del 900 sono stati così incerti sono due:

1) una motivazione tecnica: i primi apparecchi radiofonici a valvole erano costosissimi e ancora non si pensava a produrne di più economici da destinare all’utilizzo di massa;

2) una motivazione legata alla concezione della radio stessa: per vent’anni la radio è stata considerata come un semplice sostituto del telefono e del telegrafo, le possibilità di renderla uno strumento di svago ed informazione non vengono ancora concepite e, anzi, il potere diffusivo dello strumento (che può essere ascoltato da tutti) viene considerato come un ostacolo poiché compromettente per la privacy.

 

Proprio con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale le necessità di segretezza dei messaggi inviati via radio determinano una battuta d’arresto nello sviluppo e nelle sperimentazioni del mezzo; soltanto in pochissimi avevano intuito le potenzialità della radio, e tra di essi non si trovava lo stesso Marconi, il quale  credeva la radio un semplice strumento militare. Tra di essi si trovava invece Lee De Forest: egli nel 1916, dopo aver tentato la trasmissione del concerto di Caruso, costruisce una torre e trasmette partite di football, musica e il primo servizio di informazione via etere, ovvero i risultati della campagna elettorale americana che avrebbe portato Wilson alla presidenza (ma la cui vittoria venne data erroneamente per una sconfitta).

 

La stessa strada fu percorsa da Sarnoff, un americano ebreo nato in Russia ed emigrato all’età di nove anni, nel 1900; già nel 1906 egli lavorava come fattorino presso la società americana di Marconi e lì, ben presto, divenne telegrafista (rimanendo, nel 1912, tra i pochi in contatto con il Titanic che affondava); sempre alla Marconi presentò il progetto di una ‘scatola musicale’ per uso domestico, molto simile alla nostra radio.

 

Una vera e propria svolta si attuò dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, ed iniziò il vertiginoso sviluppo della RADIOFONIA per la trasmissione di informazioni. La guerra aveva consolidato la concezione ‘anti-diffusiva’ della radio, ma le piccole apparecchiature a galena venivano costruite da molti; i radioamatori aumentavano, e comunicavano tra di loro attraverso l’impiego di apparecchi rudimentali soprattutto in Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Inizia a diffondersi l’idea di sfruttare la radio anche commercialmente; la prima società che tenta di realizzare questo progetto è la tedesca Telefunken, che non è però in condizioni di portare a termine le attuazioni per via dei divieti imposti dalle potenze vincitrici alla Germania sconfitta. Un’altra società in prima linea era la Marconi’s Wireless Telegraph Company, che già dal 1920 aveva iniziato a trasmettere nei pressi di Londra pensando al pubblico. Furono gli Stati Uniti a bruciare tutti sul tempo, percependo le promettenti potenzialità commerciali del nuovo mezzo; fu un’emittente di Pittsburg a preparare i notiziari sulle elezioni che avrebbero visto l’ascesa del repubblicano Harving.

 

Nel 1921 a Berlino venne trasmessa per intero la “Madama Butterfly” di Puccini, mentre in Russia nascevano le prime stazioni. Nel febbraio 1922 in Francia veniva inaugurato il centro radio della Tour Eiffel, mentre nell’ottobre dello stesso anno in Inghilterra la BBC comincia un regolare servizio di informazioni. Nel novembre 1923 in Germania nasce Vox Hans, emittente nazionale ma non unica sul territorio tedesco. Il processo di istituzionalizzazione del settore è rapidissimo e coinvolge anche i paesi balcanici. Negli Stati Uniti, tra il ’22 e il ’24, sorgono oltre mille stazioni. Il numero degli abbonati diventa di massa, e ciò si verifica grazie a tre fattori favorevoli:

1) nei paesi in cui le stazioni si sviluppano esiste una solida industria elettrotecnica che costruisce a prezzi via via più contenuti;

2) il mercato è imponente negli Stati Uniti, e di vaste dimensioni in Inghilterra e Germania;

3) le industrie della stampa e dello spettacolo hanno enormi proporzioni e veicolano la radio (ad esempio l’esistenza di una forte industria discografica era presupposto per la nascita delle trasmissioni musicali).

 

Il rapido sviluppo della RADIOFONIA  non riguarda soltanto i paesi capitalisti poiché un fenomeno analogo interessa anche la Russia sovietica; il regime comunista non favorisce l’iniziativa privata, e nonostante la diffusa povertà e i due anni di guerra civile la Russia si trova all’avanguardia nello sviluppo radiofonico per due ragioni:

1) per via dell’avanzata tradizione di studi tecnici che caratterizza il paese;

2) per la sensibilità dei bolscevichi nei confronti delle potenzialità di un mezzo come la radio, che con il suo potere diffusivo può raggiungere l’intera popolazione dello sterminato paese e può contribuire all’interazione socialista delle masse analfabete.

 

Dal novembre 1923 iniziano in Russia i primi servizi, mentre dal 1924 a Mosca sorgono due potentissime stazioni radiofoniche. Si delineano così chiaramente due modelli dell’organizzazione radiofonica nazionale: quello del monopolio pubblico (nei paesi capitalisti, comunisti e nell’Italia fascista) e quello del sistema privato (tipico degli Stati Uniti, paese in cui non esiste una radio pubblica). Contemporaneamente si delineano due modalità di finanziamento: il canone (abbonamento, tipico del monopolio pubblico) e quello alimentato dalla pubblicità. Il modello italiano, da subito, si configura come anomalo poiché prevede un sistema combinato dei due finanziamenti.

 

In Italia, a fronte dello sviluppo europeo e statunitense, i primi passi della radio sono molto difficili nonostante il paese fosse la patria di Marconi. La prima cornice legislativa sulle radiocomunicazioni tracciata in Italia era quella del 1910, stesa in piena epoca giolittiana dal governo di Luigi Rattizzi; Ministro delle Poste era Ciuffelli (tre anni prima era stata preparata la legge sui telefoni). Le legge del 1910 inseriva l’esercizio delle radiocomunicazioni nella sfera pubblica di competenza statale, anche se prevedeva concessioni che si sarebbero però dovute determinare sotto il rigido controllo dello Stato. Il fatto che non potessero nascere società private che gestissero le onde liberamente era dovuto a due ragioni:

1) negli anni ’10 in tutta Europa si diffonde il concetto del pubblico servizio, si ha un’ondata di privatizzazioni che, ad esempio, nel 1905 colpisce le ferrovie, le quali vengono statalizzate;

2) è questa una fase in cui prevale l’impiego della radio come strumento militare, ed il progetto di legge in questione disconosceva la possibilità di altri suoi impieghi (durante la guerra russo-giapponese del 1905 il Giappone era risultato vittorioso proprio grazie alla sua superiorità tecnica; con l’annessione all’Austria-Ungheria della Bosnia-Erzegovina si fiutavano venti di guerra).

 

L’inizio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, rallentò i progressi della radiodiffusione ma competenza, interesse e passione nei confronti del nuovo mezzo erano assai diffuse nonostante gli apparecchi a valvola, costosissimi, fossero ai più irraggiungibili. In Italia vi fu un solo tentativo di broadcasting: si tratta del caso, negli anni ’20, di Radio Araldo, appartenente alla società L’Araldo Telefonico dell’ingegner Ranieri, la quale aveva organizzato un sistema di radiotelefono. L’apparecchio ricevente era un semplice telefono dotato di cuffie, dal quale il pubblico ascoltava dopo aver ricevuto una chiamata; la programmazione iniziale era composta da un semplice telegiornale dell’agenzia Stefani, poi sostituita da un palinsesto che prevedeva anche trasmissioni musicali. Nel 1922 L’Araldo Telefonico diventa Radio Araldo, ma la sua iniziativa non decolla, le condizioni erano sfavorevoli soprattutto per tre ragioni:

1) all’inizio degli anni ’20 in Italia non esisteva un’industria nazionale dell’elettrotecnica;

2) il mercato italiano era poverissimo, numericamente e socioeconomicamente esiguo; inoltre esso era poco omogeneo, le grandi masse contadine non comprendevano l’italiano, e i dialetti e le culture locali erano molto radicate;

3) l’industria della stampa, dell’informazione e dello spettacolo erano ancora arretrate, i quotidiani erano pochi e i settimanali ancora inesistenti, lo spettacolo aveva una dimensione esclusivamente urbana.

 

Dal punto di vista delle strutture legislative e organizzative, in Italia, tra il ’22 e il ’24 sorge quella che viene definita LOTTA PER LA CONCESSIONE DELLE ONDE. Si scontano da un lato le società private e dall’altro lo Stato; al governo c’era Mussolini, dunque i primi passi della radio coincidono con l’inizio della dittatura fascista (si tratta di una semplice coincidenza temporale, sullo sviluppo del sistema radiofonico pesarono molto più i fattori economici rispetto a quelli politici). Il contesto politico-istituzionale è però peculiare, e ha rilevanza soprattutto nel periodo che va dalla marcia su Roma (1922) al discorso del 3 gennaio 1925.

 

Il 31 ottobre 1922, dopo la marcia su Roma, si forma il governo di Mussolini, che pone fine ad un lungo travaglio politico e sociale. La marcia illegale e extracostituzionale segna la crisi del governo liberale di Luigi Facta, ma la svolta autoritaria avviene soltanto nel momento in cui Mussolini aveva iniziato a configurarsi come l’unica soluzione e il suo governo aveva preso una direzione rassicurante. Mussolini era stato chiamato da Vittorio Emanuele III alla Presidenza del Consiglio; attorno al suo nome convergevano numerose forze politiche ed economiche che volevano spostare definitivamente a destra il baricentro del potere politico italiano ed eliminare i ‘partiti di massa’, primo tra questi il Partito Socialista, che dopo la rivoluzione sovietica veniva temuto anche dai ceti medi. Attorno a Mussolini convergevano i Nazionalisti, i Salandrini, i Nittiani, i Giolittiani, i Socialfìriformisti di Bonomi, i Demosociali (eredi del Partito Radiacale), gli Ex-combattenti, gli Agrari e i Popolari di Don Sturzo. In molti, tra essi, chiusero gli occhi sulla marcia su Roma, convinti che il quadro politico non avrebbe subito radicali sconvolgimenti. Il governo del ’22, inoltre, non era fascista ma di coalizione: ai fascisti erano stati riservati soltanto la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Esteri e quello degli Interni (posti chiave nel controllo dell’ordine pubblico); le Finanze erano state affidate ad Alberto De’ Stefani, esponente del liberismo finanziario ed economico; l’Istruzione a Giovanni Gentile; le Poste al demosociale Colonna di Cesarò. Al momento del voto all’opposizione si trovavano soltanto i Socialisti, divisi in massimalisti e unitari (tra cui Turati e l’astro nascente Matteotti), i Comunisti, i Repubblicani e le Minoranze Etniche. Il governo di Mussolini in apparenza era un semplice compromesso tra i fascisti e le forze liberali di cui il re si era fatto garante, ma ciò nona aveva impedito la creazione di una situazione di ambiguità: i Liberali pensavano infatti di servirsi del fascismo senza modificare l’ordinamento classico, ma era un’illusione che si sarebbe dimostrata lampante il 16 novembre 1922, al discorso di presentazione del governo da parte di Mussolini, il quale dichiarò di aver voluto compiere un atto di formale cortesia perché era stato il popolo italiano a scegliere il governo al di sopra dei parlamentari, e aggiunse poi una sorta di minaccia.

 

04-03-2004

La LOTTA PER LE ONDE si svolge dunque in un momento particolare per la storia italiana, tra il 1922 ed il 1925. Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è Giacomo Acerbo, mentre Sottosegretario agli Interni è Aldo Finzi. Detenendo i posti chiave nell’ordinamento, il Partito Fascista andava gonfiando le sue fila e tracciava le linee programmatiche del governo.

 

Per quanto riguarda la POLITICA ECONOMICA, De’ Stefani era estremamente sensibile ai problemi degli imprenditori e degli industriali: venne abolito il Ministero del Lavoro e dell’Economia; venne abolita la festa del 1 maggio, sostituita dal 21 aprile, ‘Natale di Roma’, in memoria della sua fondazione. Sostanzialmente la politica economica era ispirata a obiettivi produttivistici e tendeva a non badare ai lavoratori; le linee chiave di tale politica sono cinque:

1) erano stati ridotti i costi della manodopera e indeboliti i sindacati;

2) era stata abolita la nominatività dei titoli azionari (misura che poteva impedire di pagare le tasse a chi deteneva i titoli);

3) era stato abolito il blocco degli affitti (in favore delle classi agiate);

4) erano stati privatizzati i telefoni e le assicurazioni prima pubblici;

5) si mirava ad una forte riduzione del deficit statale diminuendo le spese.

Questa politica aveva avuto l’indubbia conseguenza positiva di determinare l’aumento della produzione, ma altre due conseguenze erano state negative:

1) la compressione dei salari bloccava il potere d’acquisto e dunque la circolazione del denaro; la produzione in eccesso veniva così destinata alle esportazioni, che vedono un forte incremento;

2) questa forbice indebolisce la lira sui mercati azionari e porta i capitali esteri in fuga dall’Italia.

Nel luglio 1925 Mussolini decide di sostituire De’ Stefani con Giuseppe Volpi e la politica economica fascista subisce così una forte inversione di rotta.

 

Per ciò che concerne la POLITICA INTERNA in molti credevano che, una volta giunto Mussolini al potere, le violenze fasciste si sarebbero fermate, ma il movimento fascista non era tornato alla legalità con la presa del potere e le violenze continuavano. Il Segretario del Partito Fascista e direttore generale del Ministero degli Interni era Michele Bianchi. Direttore della Pubblica Sicurezza era uno dei quadriumviri della marcia su Roma, Cesare De Bono. Dopo il novembre 1922 le violenze colpivano ancora e molte devastazioni si verificano nei territori delle amministrazioni comunali non fasciste. A Torino i fascisti misero a ferro e fuoco la città compiendo una ventina di omicidi. Aumentava, tra l’altro, l’ostilità al governo da parte del Partito Popolare di Don Sturzo; Mussolini si stava però avvicinando alla Santa Sede, e nel luglio 1923 Don Sturzo dovette consegnare le dimissioni dal partito da lui fondato nel 1919.

 

L’erosione delle strutture dell’ordinamento continuava, e particolarmente significative sono due misure:

1) il 1 febbraio 1923 veniva decisa la costituzione della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale (MVSN), composta da ex squadristi fascisti, la quale non aveva l’obbligo di giuramento davanti al re bensì davanti a Mussolini poiché, pur essendo parte dell’esercito, era slegata da esso;

2) veniva costituito anche il Gran Consiglio del Fascismo, composto da tutti gli esponenti del partito; di fatto il Gran Consiglio era una sorta di ‘governo parallelo’ a quello previsto dall’ordinamento, e sarebbe stato proprio questo consiglio a decidere, nel ’43, le sorti di Mussolini.

 

Queste misure venivano presentate come normalizzatrici ma in realtà erano percepite come inserimenti di due organi di partito (dunque non statali) all’interno della vita costituzionale dello Stato: era una sorta di ‘schiaffo’ allo Statuto. Queste due misure hanno suscitato proteste e perplessità anche da parte della stampa moderata, innanzitutto del “Corriere della sera” di Alberini, che in un primo momento si era dimostrato favorevole al governo di Mussolini.

 

Venne poi preparata una nuova legge elettorale, la legge Acerbo, che prevedeva come premio di maggioranza alla lista che avesse ottenuto il 25% dei voti il 65% dei deputati; gli altri voti sarebbero poi stati distribuiti all’opposizione con criteri proporzionali. Questa legge non sarebbe mai stata approvata se il Partito Popolare non si fosse astenuto dal voto: i Popolari avevano infatti intenzione di votare contro la legge Acerbo, ma la pressione della Santa Sede li costrinse all’astensione e la legge venne approvata il 6 aprile 1924.

 

Gli eventi di quell’anno avevano provocato notevoli perplessità anche da parte di quei liberali che, in precedenza, avevano appoggiato Mussolini. Molti liberali non vollero dunque partecipare alle elezioni in sostegno del Partito Fascista, e nacquero nuove liste: Giolitti e Nitti si presentarono con una propria lista, mentre Calandra rimaneva con Mussolini. Questi abbandoni erano indice di un regresso, ci si rendeva conto che ‘l’assorbimento’ non funzionava più. Di fronte al regresso i più intransigenti tra i ras locali fascisti si mobilitarono e provocarono una seconda ondata di rivoluzionaria durante la campagna elettorale del ’24, intensificando le violenze.

 

Le elezioni videro la vittoria del fascisti, che ottennero un’enorme maggioranza in Parlamento, 374 deputati su 535 (161 tra i Popolari, poi Socialisti, Massimalisti, Comunisti, Liberali di sinistra tra cui Giovanni Amendola, Repubblicani e Demosociali). Le elezioni del ’24 avevano dimostrato che:

1) in tutto il Nord Italia i fascisti non avevano superato il 50% dei voti e che, dunque, un’opposizione ancora esisteva, mentre al Sud si era verificato un plebiscito;

2) all’opposizione erano stati premiati i partiti che si erano dimostrati più coraggiosi, come i Comunisti e i Repubblicani;

3) il Partito Popolare resisteva.

Dunque, nonostante tutto, la lotta politica in Italia non si era spenta, e le opposizioni denunciarono la situazione con verve al momento dell’apertura dei lavori della Camera. Un deputato del Partito Popolare, Giovanni Gronchi, accusò pesantemente i fascisti. Ancora più pesante fu l’accusa lanciata il 30 maggio 1924 da Matteotti, che chiese, tra l’altro, di invalidare le elezioni.

 

Dopo poco, Matteotti, il più combattivo e giovane deputato dell’opposizione venne ucciso, e la reazione del Parlamento e del paese fu vivissima. Il 13 giugno tutti i deputati dell’opposizione, tranne i Giolittiani, decisero di attuare quella che è nota come Secessione dell’Aventino, ovvero decisero di non riunirsi più al Parlamento fino a che Mussolini non si fosse dimesso. Anche la stampa moderata denunciò il Governo, e nei confronti di esso si diffuse nel paese una sorda ostilità. Mussolini corse ai ripari deplorando l’assassinio e indicò come colpevoli gli esecutori materiali del delitto che ne divennero i capri espiatori, tra cui Toscani. Tutti i capi fascisti si strinsero attorno a Mussolini, mentre l’opposizione non diede prova di coesione e si divise: i Comunisti proposero di indire uno sciopero; i Massimalisti volevano un Parlamento separato da quello fascista; altri scelsero invece posizioni legalitarie per la risoluzione della crisi, confidando soprattutto sulla possibilità che il re intervenisse, ma Vittorio Emanale III era irremovibile nell’idea di non intervenire.

 

La scelta di Vittorio Emanuele III era dovuta al fatto che, per poter destituire Mussolini, sarebbe stato necessario avere un’alternativa per il Governo, ma l’unica alternativa possibile si configurava come quella del Partito Popolare e dei Socialisti di Amendola, ma la Santa Sede fermamente si opponeva ad un’alleanza di questo tipo. Nel percepire che il sovrano non aveva nessuna intenzione di intervenire Mussolini poté riprendere fiato, abbandonò le posizioni di condanna del delitto ed alternò la normalizzazione a minacce velate all’opposizione, fino a passare alle maniere forti con il discorso del 3 gennaio 1925: alla ripresa dei lavori del Parlamento Mussolini presentò un discorso in cui si assunse tutte le responsabilità del delitto Matteotti e sfidò l’opposizione ad abbatterlo sicuro dell’appoggio del sovrano. Iniziarono da questo momento, gli interventi repressivi e l’approvazione e l’esecuzione delle nuove ‘leggi fascistissime’.

 

La LOTTA PER LE CONCESSIONI RADIOTELEGRAFICHE E RADIOFONICHE che porterà alla nascita dell’URI si svolge in questo contesto: da un lato si ha una situazione favorivo alla nascita e allo sviluppo delle società private per via della linea economica e finanziaria di De’ Stefani; dall’altro lato il clima politico non sembra essere favorevole alle liberalizzazioni. La contraddizione tra il clima economico e quello politico è enorme.

 

Erano tre le società che si scontravano:

RADIOELETTRA, controllata dalla tedesca Telefunken;

RADIOITALIA, controllata dalla società francese Societé Générale de Télégraphie Sans Fils (SGTSF);

SOCIETà ITALIANA DEI SERVIZI RADIOTELEGRAFICI E RADIOFONICI (SISERT), presieduta da Guglielmo Marconi, nata nel 1921 cono lo scopo di mettere a frutto i brevetti di Marconi in Italia, paese in cui ancora tali brevetti avevano dato pochi frutti.

 

In particolare, l’attività della SISERT si occupava di tre settori:

- la radiotelegrafia via mare con la società SIRM, fondata a Genova nel 1903 da Luigi Solari, braccio destro di Marconi, per la gestione dei servizi radiotelegrafici per le navi;

- la costruzione di apparecchi emittenti presso le Officine Marconi, che non fabbricavano apparecchi riceventi ma esclusivamente emittenti, fondate a Genova nel 1906;

- i servizi di informazione tramite l’Agenzia Radiotelegrafica Italiana di Luigi Solari, che dal 1918 svolgeva servizi informativi per la stampa e le navi;

Inoltre, il cui monopolio per i servizi radiotelegrafici della Società Fiumana per le Radiocomunicazioni era stato concesso da D’Annunzio alla società di Marconi per via dell’amicizia che legava i due personaggi.

 

Inizialmente le trattative con il Governo vennero attuate da Solari, ma la società di Marconi sembrava non avere un capitale di partenza sufficiente; Tale società poteva però contare sull’appoggio dell’inglese Marconi Wireless Telegraph Company, oltre che sull’appoggio di potenti gruppi italiani tra cui quello di Salmoiraghi e sul prestigio personale di Marconi.

 

GUGLIELMO MARCONI era nato nel 1914 figlio di un ricco possidente terriero; la madre era irlandese e ciò permise a Marconi di essere anglofobo. Per lungo tempo Marconi viaggiò con i genitori, non seguendo gli ortodossi percorsi di studio ma seguendo lezioni private. Aveva sviluppato una forte passione per l’elettrotecnica, e a Livorno aveva approfondito la materia con Vincenzo Rosa, professore di fisica che Marconi avrebbe sempre considerato il suo maestro. A Bologna allestì un laboratorio e, all’età di 18 anni, vinse un concorso indetto dalla rivista scientifica alla quale era abbonato inventando un nuovo tipo di pila. Nel laboratorio realizzava l’applicazione pratica delle scoperte altrui; in molti, all’epoca studiavano le onde elettriche, ma Marconi scelse di dedicarsi allo studio delle onde elettromagnetiche, che mirava ad utilizzare per le comunicazioni a distanza senza fili. Nel 1895 realizzò il primo esperimento, utilizzando due particolari congegni, un’antenna e un rilevatore di onde Coher; questi primi esperimenti riescono. Dal 1896 Marconi si trasferì in Inghilterra, paese industrialmente più avanzato rispetto all’Italia; l’Inghilterra, detenendo numerosi possedimenti coloniali, era poi molto interessata alla possibilità delle comunicazioni a distanza, e lì Marconi fonda la Marconi’s Wireles Telegraph Company e un gruppo di ricerca che perfeziona le sue scoperte. Marconi era molto abile a reclamizzare le sue scoperte, soprattutto attraverso grandi esperimenti in pubblico. Nel 1909 l’obiettivo di un ponte radio regolare è raggiunto e per la prima volta alle navi vengono offerti servizi per la sicurezza (molto noto è il caso del Titanic, che aveva a bordo apparecchiature Marconi).

 

Nel gruppo di ricerca di Marconi si trovava anche John Flaming (inventore del diodo), e dalla fine dell’800 l’obiettivo principale del gruppo è stato quello di aumentare la lunghezza delle trasmissioni. Marconi mirava a sfruttare commercialmente le sue invenzioni, e le aveva pubblicizzate in più occasioni: ad esempio trasmettendo a d un quotidiano inglese i risultati di una regata prima che le navi fossero giunte in porto e ripetendo questa esperienza in occasione dell’America’s Cup. Nel 1889 Marconi riuscì a collegare radiofonicamente l’Inghilterra e la Francia e nel 1901 iniziarono le prime trasmissioni transatlantiche tra l’Inghilterra e Terranova (prima che questi tentativi riuscissero si pensava che le onde si propagassero elusivamente in linea retta, ma quelle elettromagnetiche si curvano seguendo la superficie terrestre). Sette anni dopo Marconi stabilì un ponte radio regolare tra le due sponde dell’Atlantico: le comunicazioni avvenivano con i transatlantici e tra di essi.

 

Marconi aveva lavorato a lungo sulle onde lunghe, ma dalla fine della Prima Guerra Mondiale iniziò a fare ricerche anche su quelle corte, a fascio, che a partire dagli anni ’20 avrebbero rappresentato il futuro delle comunicazioni a distanza. Nel 1914 venne nominato senatore a vita da Calandra. Durante la Prima Guerra Mondiale fu interventista a fianco dell’Inghilterra, combatté come militante nella marina e fece parte della delegazione italiana alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919. Lo stesso anno divenne presidente della Banca Italiana di Sconto dei fratelli Terrone, che però fallì poco tempo dopo. Dopo la marcia su Roma, nel 1923, si iscrisse al partito fascista, nel quale rimase fino alla morte, nel 1937. Altissimo era il suo prestigio per le cariche che aveva ricoperto: Presidente della CRN per la ricerca, dell’Enciclopedia Italiana, dell’Accademia d’Italia e, dal 1930, membro del Gran Consiglio del Fascismo. I rapporti di marconi col fascismo, in un primo momento strettissimi, si logorarono negli ultimi anni per via della guerra d’Etiopia e dell’alleanza con la Germania, non tollerabile da Marconi, strenuo sostenitore di una politica estere filibritannica.

 

Marconi era a capo della SISERT, società che aveva raccolto e coordinato tutte le diverse attività del suo gruppo e che mirava alla concessione dei servizi RADIOTELEGRAFICI in gara con Radielettra e Radioitalia, rispettivamente di proprietà tedesca e francese. Benché la SISERT fosse una società italiana al suo interno confluivano anche capitali inglesi e, al momento di decidere a quale società concedere la gestione dei servizi, il Ministro delle Poste demosociale Colonna di Cesarò, tendeva ad una posizione filofrancese e anglofoba. Colonna di Cesarò decise per una fusione delle tre società, alla quale sarebbe andata la concessione. Mussolini, a parole, si dichiarava ammiratore di Marconi, ma nei fatti appoggiò la scelta di Colonna di Cesarò poiché il prestigio di Marconi non sembrava essere sufficiente a garantirgli un totale controllo dei servizi italiani, soprattutto a causa del fallimento della Banca Italiana di Sconto di cui era stato Presidente (e poca importanza veniva data al fatto che da questo scandalo finanziario fosse stato assolto).

 

Radioelettra e Radioitalia decisero di fondersi nella SIR, Società Italo Radio. Marconi rifiutò poiché stava lavorando sulle onde corte a fascio e non voleva mettere in comune con i concorrenti le sue ricerche. La Marconi’s e Marconi stesso fallirono il traguardo della RADIOTELEGRAFIA  in Italia, ma rimanevano ancora disponibili i servizi RADIOFONICI. Paradossalmente, la lotta per le concessioni aveva sgomberato il campo della RADIOFONIA, privilegiando Marconi.

 

Luigi Solari decise di fondare una nuova società per i servizi RADIOFONICI, chiamata Radiofono, che iniziò le trattative con il governo per ottenere le concessioni. La Radiofono era di fatto ‘figlia’ della SISERT, ma i suoi azionisti erano dirigenti di altre importanti industrie italiane - come le Officine Marconi, la SARI (Società Anonima di Radiotelegrafia Italiana), la Allocchio-Bacchini, la FATME (Fabbrica Apparecchi Telefonici……….) – e straniere – come la Ericsson e la General Eletric (da cui erano partite la RCA e la NBC). Nella Radiofono erano particolarmente importanti il Gruppo Marconi; il presidente della SARI e del Radiofono era il medesimo, Enrico Marchesi, uomo di fiducia di Gianni Agnelli.

 

La Radiofono chiese le concessioni per i servizi RADIOFONICI, ma sulla scena si affacciò un’altra società, la SIRAC (Società Italiana Radio Audizioni Circolari), filiale del colosso americano Western Eletric Company (che fabbricava radio), alla cui presidenza si trovava l’italiano Raoul Chiodelli. In gara si trovavano dunque due società, ma le trattative con il Governo procedevano con lentezza, anche a causa delle posizioni di Colonna di Cesarò. La situazione muta nel momento in cui i rapporti tra Mussolini ed i Demosociali si logorano e, il 4 febbraio 1924, Colonna di Cesarò si dimette e al Ministero delle Poste entra Costanzo Ciano. Pochi mesi dopo il suo ingresso il Ministero delle Poste viene trasformato in Ministero delle Comunicazioni, conglobando al suo interno anche i trasporti e la marina, e Costanzo Ciano ne resta alla guida per dieci anni, fino al 1934. Ciano era un militare, ufficiale di marina, un uomo politico molto potente, a lungo ras di Livorno, molto sensibile alle questioni delle telecomunicazioni e grande sostenitore di Marconi; suo figlio Galeazzo avrebbe sposato la figlia di Mussolini e sarebbe diventato il primo Ministro della Stampa e della Propaganda.

 

Costanzo Ciano diede impulso alla questione delle onde; appoggiando la SISERT Ciano propose a Solari un clamoroso esperimento, ovvero la trasmissione di un discorso del Duce dal teatro Costanzi di Roma per la campana elettorale del 1924 dalla prima stazione esistente, quella di Centocelle. L’esperimento, secondo Ciano, avrebbe dovuto avere un duplice obiettivo:

1) un obiettivo pubblicitario perché l’eco della trasmissione si sarebbe diffuso attraverso la stampa;

2) un obiettivo dimostrativo per Mussolini, che fino a quel momento era stato indifferente al problema della radio.

Dall’Inghilterra venne allora fatto arrivare un complesso trasmettitore, posto nel quartiere romano di Centocelle e collegato telefonicamente con il Teatro Costanzi, sotto al cui palco erano posti gli amplificatori. Ma le parole pronunciate dal Duce, tra cui “camicie nere”, si risolsero in un balbettio, l’esperimento fu un fiasco e la trasmissione venne immediatamente interrotta. Le cause del disturbo non furono mai individuate, e secondo alcuni erano riconducibili ad un’azione dei ‘nemici’ di Marconi. Ciano continuò comunque verso la sistemazione della situazione, soprattutto perché la stampa stava cominciando a denunciare il gap radiofonico tra l’Italia e l’estero, ledendo il prestigio del paese.

Si giunse così al primo disegno di legge sulla RADIOFONIA, il 655 dell’1 maggio 1924; il disegno di legge è piuttosto semplice, ed in esso il governo ribadisce i principi inerenti i contenuti ed i finanziamenti dei futuri mezzi radiofonici che già aveva espresso in passato.

Per ciò che riguarda i CONTENUTI essi comprendono concerti, pièces teatrali, conversazioni, discorsi, notizie, lezioni e prediche. Per quanto invece riguarda i FINANZIAMENTI il caso italiano si configura come un caso particolare nel panorama internazionale per via del fatto che esso preveda una duplice modalità di finanziamento, attraverso il canone e la pubblicità.

 

Un mese dopo questo disegno di legge, nel giugno ’24, il Ministero delle Comunicazioni stabilisce l’obbligo di un capitale iniziale di 6.000.000 di lire per le società che ambiscono alle concessioni. Nel governo si è intanto fatta strada una decisione, quella di una fusione tra la SIRAC e la Radiofono, che si fondono il 27 agosto 1924 e danno vita alla prima emittente radiofonica italiana, la URI.

 

Il 10 luglio 1924 era stato pubblicato un decreto legge, il 1226, nel quale venivano ribadite le linee portanti del decreto del 1910 per cui l’impianto e l’esercizio delle telecomunicazioni deve essere riservato al Governo, che può però ‘concederle’ a società private. Nel 1924 viene aggiunta una nuova clausola per cui l’eventuale società concessionaria non può trasmettere notiziari senza il visto preventivo delle Prefetture e può soltanto diffondere le notizie passate dalle agenzie del Governo.

 

Alla presidenza della URI è posto Enrico Marchesi, mente Luigi Solari è collocato alla vicepresidenza. Dal punto di vista industriale si trattava di una soluzione di compromesso: le due società si erano divise il mercato italiano della radiofonia. Oltre ai trasmettitori di Centocelle, gli unici esistenti, tutto il resto doveva essere costruito, e tra il 1924 ed il 1943 le Officine Marconi e la Western Eletric impiantarono numerosissime stazioni sul territorio italiano.

 

Per ciò che concerne il Consiglio di Amministrazione della URI, esso era all’85% affidato agli azionisti della Radiofono, mentre il peso della SIRAC era inferiore ma on irrilevante; la SIRAC aveva posto nel Consiglio di Amministrazione numerosi presidenti delle industrie del triangolo industriale Milano-Genova-Torino e, negli anni seguenti, la SIRAC avrebbe rafforzato la sua rappresentanza in linea con la generale tendenza filoamericana.

 

In testa alla URI era dunque stato posto un uomo di fiducia di Agnelli, il quale si occupava della produzione di automobili, mercato apparentemente non legato alla radiofonia. Pur non interessandosi industrialmente alla radio, Agnelli era interessato ad essa come mezzo di comunicazione. Questa operazione fu coronata da un enorme successo poiché, a di lì a poco, la sua famiglia avrebbe messo le mani sulla stampa, e della radio già erano state colte le potenzialità comunicative.

 

Il Governo fascista aveva interesse per il controllo indiretto del mezzo radiofonico; nel ’24, momento della crisi Matteotti, i giochi non erano ancora stati compiuti, ma dal ’35 Agnelli avrebbe ottenuto le azioni della ………………………………………………………………..

 

Radio Araldo non era stata chiamata in gara per le concessioni e, di fatto, l’avvio del broadcasting in Italia non era stato frutto di un’autentica ‘lotta’ tra le società: le scelte erano state infatti pilotate dal Governo, dal potere politico, e da un gruppo di industriali pronti a sottoscrivere un tacito patto col regime.

 

La CONVENZIONE stipulata da Governo e URI il 27 novembre 1924 era stata redatta poco dopo l’inizio delle trasmissioni, avvenuto il 6 ottobre ’24. L’intera vicenda si era dunque consumata tra la crisi Matteotti e la Secessione dell’Aventino, fino al discorso del 3 gennaio 1925.

 

La crisi Matteotti aveva provocato gravi problemi al Fascismo, che aveva sentito più forte la necessità di avere il controllo sulla stampa. Durante la riunione del Consiglio dei Ministri dell’8 luglio 1924 Luigi Federzoni, nazionalista Ministro dell’Interno dopo che a lungo quella carica era stata coperta da Mussolini, ha relazionato circa la situazione dell’ordine pubblico, in particolare riferendosi alla lotta tra le masse fasciste e gli elementi sovversivi, ripresa a seguito delle polemiche e delle notizie tendenziose della stampa. Su proposta di Mussolini si decide di applicare un regolamento sulla stampa già approvato nel 1923 ma rimasto inattuato. Le clausole di tale regolamento erano lesive della libertà di stampa, con esse per i Prefetti era facile limitare la libertà di stampa in una sorta di ritorno alla censura. I punti chiave della convenzione sono i seguenti:

1) lo Stato concede alla URI per sei anni prorogabili per quattro (le concessioni sono solitamente a tempo determinato) l’esclusiva dei servizi radiofonici sul territorio nazionale italiano;

2) il servizio deve essere effettuato per sei ore al giorno, su tre stazioni: una nazionale a Roma e due regionali di cui una assolutamente a Milano;

3) il contenuto delle trasmissioni viene ribadito identico a quello previsto dal precedente decreto ma si sottolinea il fatto che le trasmissioni di notizie debbano avvenire sotto il controllo del Governo;

4) il Governo si riserva due ore al giorno per le proprie comunicazioni e obbliga la URI a mettere in onda in caso di urgenza comunicati per conto del Governo;

5) viene stabilito che il Presidente della URI ed il suo Amministratore Delegato debbano essere graditi al Governo;

6) è definito un presupposto in grado di garantire il carattere nazionale dell’URI per cui il 55% delle azioni doveva essere intestato a cittadini italiani e i ¾ del personale tecnico, amministrativo, ecc. doveva essere di nazionalità italiana;

7) si fissava che la cifra di abbonamento del canone annuale e delle tasse dovesse essere deciso dal Governo e non dalla URI: esso era alto rispetto al reddito della popolazione (90 lire non rateizzabili l’anno di canone, 50 lire per la licenza della radio e bollo di costo variabile dipendente dalla potenza del mezzo) e si accompagnava alla previsione di altri introiti pubblicitari;

8) veniva favorita una lieve protezione doganale per le apparecchiature trasmittenti ma non per quelle riceventi poiché soltanto le prime venivano prodotte da industrie legate alla URI mentre le radio non venivano ancora fabbricate in Italia e per la loro produzione era comunque necessario importare materiali dall’estero.

 

Per molti anni la URI è stata l’unica emittente nazionale, poi diventata EIAR. Si può considerare il suo PALINSESTO dal 1924 al 1927.

 

Il 6 ottobre 1924 la URI ha cominciato le sue trasmissioni regolari; la sua stazione si trovava in località San Filippo, alla periferia di Roma, ed il ripetitore era della Marconi’s Wireless Telegraph Company poiché in Italia nessuno costruiva ripetitori. All’inizio le trasmissioni erano destinate al solo pubblico romano, e lo studio per tali trasmissioni aveva sede in un salone nella capitale.

 

Ben presto venne assunta un’annunciatrice, Maria Luisa Boncompagni, la prima annunciatrice donna al mondo, che svolgeva la sua attività in URI per 500£ al mese, una retribuzione piuttosto bassa. Maria Luisa Boncompagni aveva esordito nel 1914, a sedici anni, come dicitrice dell’Araldo Telefonico, per i cui ascoltatori era nota come ‘signorina Stefani’: il suo nome veniva infatti confuso con quello dell’agenzia. Nell’ottobre del 1924 Maria Luisa Boncompagni comincia la sua attività radiofonica, che avrebbe proseguito fino al 1954, anno di avvento della televisione. Oltre ad essere annunciatrice, in radio Maria Luisa Boncompagni è una figura tuttofare, è contemporaneamente segretaria, presentatrice e attrice (nei pionieristici anni ’20 infatti recitò accanto ad altri filodrammatici dilettanti per gli spettacoli radiofonici). Per quanto riguarda le conduzioni Maria Luisa Boncompagni presentava i programmi per bambini, tra i quali “Il Giornale Radiofonico per i Fanciulli”, il programma per l’infanzia più importante e longevo, nel quale la Boncompagni impersonava Zia Radio.

 

 

 

Negli anni ’30 la Boncompagni conduce anche “Radio Itgea” insieme a Silvio Gigli; poi “Sorella Radio”, un altro tra i programmi cult della radio italiana dedicato ai degenti negli ospedali e agli infermi. Per le trasmissioni sportive invece Maria Luisa Boncompagni non era ferrata, ed è rimasta celebre la sua gaffe della lettura letterale dei risultati sportivi.

 

Maria Luisa Boncompagni fu la prima diva radiofonica: gli ascoltatori degli anni ’30 erano incantati dalla sua voce e dalla sua dizione, tanto che venne sommersa di proposte di matrimonio. Le sue foto iniziarono a comparire soltanto in un secondo momento.

 

Non fu però la voce di Maria Luisa Boncompagni la prima voce della radio italiana: l’inizio delle trasmissioni alle ore 21 sentì infatti l’annuncio del concerto d’inaugurazione per la voce di Ines Donarelli, una delle componenti del quartetto che avrebbe tenuto il concerto, in modo molto artigianale.

 

Dopo il concerto d’inaugurazione venne proposta anche musica lirica e folkloristica,e negli intervalli il bollettino meteo, le notizie delle borse, e una conversazione radiofonica intitolata “Le radioaudizioni circolari”. La prima trasmissione si concluse alle 22.30 dopo le ultime notizie e gli inni ufficiali come il fascista “Giovinezza”.

 

Inizia da subito la fase sperimentale della radio italiana, caratterizzata dall’improvvisazione dei palinsesti e dei programmi; ancora non esiste un organo di informazione circa le programmazioni, che vengono effettuate soltanto dalle 21 alle 22.30.

 

Imperversa la MUSICA: operistica, lirica, arie popolari, cameristica, selezione di operetta, ballabili, canti folkoristici e dialettali, tutti comunque in scelte antologiche o nella forma del concerto variato (con pezzi di musica operistica, cameristica, ballabili e folkloristica).

 

 

Per quanto invece riguarda i programmi NON MUSICALI, essi erano in minoranza: le informazioni fornite erano spicciole, soprattutto meteorologiche; scarne erano le notizie sulla borsa, i notiziari erano molto brevi; nessuna rubrica fissa era ancora stata creata; i brevi stacchi umoristici erano maldestri; per i bambini venivano presentate letture di novelle e fiabe. Si trattava di un palinsesto fatto ‘a tastoni’, senza conoscere l’utente, ma si sapeva con certezza che il pubblico fosse appartenente alla media e alta borghesia, l’unica categoria che potesse possedere un apparecchio radiofonico e che, all’ora delle trasmissioni, fosse ancora sveglia (i contadini, infatti, alle 21 già dormivano).

 

Per ciò che concerne la realizzazione dei NOTIZIARI, la URI si appoggia all’Agenzia Radiofonica Nazionale appartenente al Gruppo Marconi, fondata da Luigi Solari nel 1918 e poi rilevata dalla SISERT. L’ARN forniva i bollettini per le navi commerciali italiane, ed era filogovernativa; la sua collaborazione con la URI durò soltanto nel primo mese di programmazione, e dal 31 ottobre 1924 alla URI venne imposta l’Agenzia Stefani, la prima agenzia di stampa italiana, nata nel 1853 e fondata dal giornalista Guglielmo Stefani, un veneto in esilio in Piemonte. L’agenzia era nata grazie all’avvallo di Cavour, e già nel 1861 era la più importante agenzia di stampa in Italia. Da sempre, la Stefani si poneva come filogovernativa, ufficiale; dopo la marcia su Roma la Stefani passò sotto il diretto controllo del Governo e durante la dittatura la sua direzione fu affidata a Manlio Morgagni, un fedelissimo di Mussolini che alla destituzione del Duce si sarebbe suicidato. I notiziari della URI erano interamente basati sulle notizie fornite dalla Stefani.

 

 

SVILUPPO DELLA RETE RADIOFONICA E ASCOLTO

 

Dopo i primi tre pionieristici e sperimentali mesi, dal 1925 le ore di trasmissione radiofonica crescono e i palinsesti si arricchiscono.

 

Il 18 gennaio 1925 esce il primo organo di informazione sui programmi, “Radiorario”, che sarebbe rimasto l’organo ufficiale della URI fino alla trasformazione in EIAR, a cui avrebbe corrisposto la trasformazione del “Radiorario” in “Radiocorriere”. La pubblicazione forniva i palinsesti dell’URI e delle emittenti straniere captabili in Italia. Inoltre, per sopperire alla mancanza di strumenti di rilevazione dell’auditel, il settimanale inizia  a tenere una rubrica di corrispondenza con gli ascoltatori, rubrica che all’epoca divenne molto importante.

 

Nei primi numeri del “Radiorario” poco spazio veniva concesso alle trasmissioni e ai personaggi: l’attenzione era posta su questioni tecniche inerenti all’apparecchio radiofonico. Molti articoli erano infatti dedicati a come utilizzare gli apparecchi, a diffondere il lessico tecnico con intenti anche didattici (frequenti erano i confronti tecnici con altre nazioni). Il settimanale ospitava anche pubblicità, ma elusivamente di apparecchi radiofonici. Negli ultimi mesi del 1927, quando la direzione era affidata a Chiodelli, la rivista inizia a trasformarsi dedicando spazio a inchieste, referendum e più informazioni sui programmi, attraendo così anche la pubblicità dei beni di consumo di lusso.

 

Anche sulle pagine dei quotidiani nazionali dal 1925 comincia la pubblicità dell’URI finalizzata ad ampliare il numero degli abbonamenti radiofonici; per quanto riguarda lo sviluppo della radio in Italia il clima è all’insegna dell’ottimismo. Ma le speranze di un rapido decollo devono essere ben presto ridimensionate, il take off di fatto è inesistente. Si verifica infatti un periodo di ristagno su tre fronti: quello dell’industria radiofonica per la produzione di apparecchi, quello del parco abbonati e quello dello sviluppo dell’URI come società.

 

1) L’industria radiotecnica italiana è infante, appena nata, e si dimostra troppo debole per reggere l’agguerrita concorrenza dei marchi stranieri (tedeschi, americani, inglesi, francesi e olandesi); colossi come la Philips e la Telefunken detengono una superiorità tecnica e commerciale tale da schiacciare l’industria italiana, che deve acquistare i pezzi di cui necessita all’estero con costi enormi. Alla sua protezione non può neanche collaborare lo Stato attraverso l’instaurazione di gravose tariffe doganali).

2) Nei primi tre anni di vita dell’URI il numero degli abbonati cresce molto lentamente, mentre all’estero la crescita che si verifica è esponenziale. Alla fine del 1925 gli abbonati in Italia non sono più di 10.000, che sommati agli abusivi possono raggiungere la cifra di 20.000 apparecchi, quantità irrisoria rispetto alla media europea. Quando in Italia il numero degli ascoltatori raggiungerà il numero di 26.800 gli abbonati alla BBC erano 1.230.000, e tali cifre indicano la grande sproporzione tra l’Italia e l’estero nonostante una certa percentuale di abusivismo. Le ragioni del mancato decollo della radio sono molteplici:

- ragioni di natura tecnica, per via della presenza di ostacoli concreti: ad esempio non tutto il territorio italiano era stato raggiunto dall’elettricità, molte zone povere ed arretrate come il Mezzogiorno non erano ancora completamente elettrificate e senza elettricità era possibile soltanto l’ascolto di radio a galena;

- ragioni specifiche al mezzo: esisteva infatti una sola emittente che trasmetteva poco, l’offerta non era accattivante, e se gli abbonati italiani si dovevano accontentare ben diversa era situazione dell’America, paese in cui non erano previsti abbonamenti ed in cui l’offerta al pubblico era molta e variata;

- in Italia il consumo di musica con il fonografo era limitato, il livello del consumo di massa della musica era scarso: il popolo cantava ma l’abitudine all’ascolto mancava;

- una motivazione che caratterizza il caso italiano è l’enorme costo degli apparecchi radiofonici, costo assolutamente proibitivo per la maggior parte della popolazione: le radio a galena, da ascoltare individualmente con le cuffie, costavano relativamente poco, 100/200£, ma in pochi si accontentavano di questo tipo d’apparecchio e le radio dotate di amplificatori raggiungevano il costo di 10.000£. Il prezzo di una radio di media qualità era 2.500£, ma a questa cifra va aggiunto il costo per il mantenimento dell’apparecchio, per il canone e per il bollo, per un totale che variava tra le 160 e le 320£ al mese. Il reddito annuo pro-capite di un impiegato raggiungeva al massimo le 600£, e la radio era ovviamente al di fuori delle sue possibilità. Negli anni ’20 il numero delle auto è superiore a quello delle radio, considerate beni di lusso; quando la FIAT lancia la 500 8 balilla, la prima auto popolare, il suo prezzo si aggira sulle 5.000£ mentre il costo medio di una radio è di 3.000£, dunque paradossalmente la radio si configura come un bene ‘più di lusso’ rispetto all’automobile (il sorpasso del numero degli apparecchi diffusi in Italia rispetto alle auto sarebbe avvenuto soltanto nel 1931). Non mancarono provvedimenti volti ad aiutare il mantenimento degli apparecchi radiofonici grazie ai quali la spesa mensile veniva ridotta a 99£ (era stata eliminata la licenza ma aumentato il canone), ma tali provvedimenti non furono sufficienti: più che dalle tasse il vero problema era rappresentato dal prezzo per l’acquisto.

 

3) Per quanto riguarda lo stato societario dell’Uri ed il suo sviluppo come società, bisogna ricordare che le sue difficoltà finanziarie erano enormi. Nella convenzione firmata col Governo l’impresa si era impegnata ad aumentare il capitale attraverso l’introduzione di nuovi azionisti. Di fatto il numero degli azionisti aumentò, le azioni vennero acquistate da una società molto potente, la SIP, Società Idroelettrica Piemonte, che avrebbe poi gestito la rete telefonica italiana. Il suo ingresso nel pacchetto azionario dell’URI segna il suo prepotente ingresso nel settore della radiofonia: Nonostante questo i bilanci della URI erano in attivo ma molto modesti poiché pochi erano gli abbonati ed elevati erano i costi del potenziamento della rete radiofonica. Con la convenzione la URI si impegnava anche ad aprire altre due stazioni radiofoniche, ed infatti nel dicembre 1925 venne inaugurata la stazione di Milano destinata a trasmettere verso le regioni settentrionali non raggiunte dalla stazione romana; poco dopo, nel 1926, venne aperta anche una stazione a Napoli con i materiali della Western Eletric Company. Per consolidare i suoi bilanci la URI diede il via alle prime pubblicità radiofoniche, spot brevi e maldestri assai sgraditi al pubblico radiofonico.

 

A questo ristagno bisogna aggiungere anche la tiepida accoglienza riservata alla radio sia dagli ambienti dello spettacolo che dai giornalisti e dagli intellettuali italiani. Qualche uomo di cultura era interessato al nuovo mezzo: Giovanni Gentile, Ministro dell’Istruzione tra il 1922 ed il 1924 e personaggio di primo piano durante tutto il ventennio fascista, avrebbe voluto potenziare le possibilità didattiche della radio. Filippo Tomaso Marinetti, iniziatore del movimento futurista, considerava la radio come un mezzo congeniale alle sue esigenze espressive ed alle esigenze di un movimento moderno come era quello futurista. Enzo Ferrieri, letterato milanese di altissimo livello che negli anni ’20 aveva fondato il circolo letterario del’Convegno’, l’omonimo teatro, l’omonima celebre rivista e l’omonima libreria, fu tra i primi entusiastici lavoratori della radio, e divenne il più importante regista italiano del teatro alla radio.

In un primo momento gli intellettuali italiani sottovalutarono il mezzo derubricandolo come una forma di spettacolo minore. Non stupisce il fatto che non vi furono ulteriori iniziative, che altre società non tentassero di aggiungersi all’URI, la quale avrebbe detenuto il monopolio fino agli anni ’70.

 

Per quanto riguarda la programmazione dei palinsesti, tra il 1925 ed il 1928 si consolidarono i vari settori e contenuti; le trasmissioni, in questi primi anni, si differenziavano a seconda di quale stazione li trasmettesse.

 

RADIOROMA, RADIOMILANO (inaugurata l’8 dicembre 1925) e RADIONAPOLI (inaugurata il 14 novembre 1926) formavano un’unica emittente a tre stazioni, che a volte venivano unificate via cavo telefonico: tale unificazione avveniva nei casi in cui a parlare fossero state le personalità più eminenti del regime (la prima connessione telefonica fu il 5 dicembre 1926 per la messa in onda di un discorso del Ministro delle Finanze Giuseppe Volpi), in particolare per i discorsi di Mussolini.

 

I programmi avevano tutti una fattura artigianale, e questo sia per via della scarsa formazione professionale degli speaker sia per via dei limiti tecnici del mezzo, che non consentiva un’emissione perfetta.

 

Il primo genere è l’INTRATTENIMENTO MUSICALE, che forma in questi anni la sua ossatura con i programmi radiofonici nella forma del concerto variato. Dal 1925 si affacciano in questo ambito le prime novità: la domenica mattina viene trasmesso dalle tre stazioni un programma antimeridiano di musica sacra; vengono poi programmate serate speciali dedicate a esecutori celebri; dal 1926 sono effettuati i primi collegamenti esterni da vari ritrovi in cui è suonata musica ritmica o da sale da concerto. Dal 1927 aumenta poi l’offerta di musica lirica: con i referendum radiofonici si era infatti scoperto che fosse proprio la lirica la musica più gradita.

 

Nel complesso l’offerta musicale era piuttosto ricca e di buon livello; se la URI aveva le mani ‘legate’ per ciò che concerneva le conversazioni radiofoniche, per la programmazione musicale godeva di una certa libertà. L’unica limitazione era data dall’obbligo di valorizzare la musica italiana rispetto a quella straniera, ma questo non creava problemi per l’operistica, mentre al repertorio sinfonico era consentito spaziare molto. Tale programmazione consentiva un arricchimento della cultura musicale degli ascoltatori.

 

Le musiche trasmesse non erano quasi mai registrate, soprattutto perché l’evoluzione delle tecniche di registrazione non aveva raggiunto livelli di qualità sufficientemente fedeli all’esecuzione dal vivo. Da ciò derivò la necessita per la URI di formare delle orchestre: la prima fu quella per la stazione di Milano, entro breve seguita da quelle di Roma e Napoli.

 

Per quanto invece riguarda le trasmissioni in collegamento esterno, quelle dai teatri dell’opera erano le più richieste dal pubblico radiofonico: un giorno la settimana la URI si collegava con un teatro romano, milanese o napoletano (non dalla Scala perché Toscanini si dichiarava contrario alla diffusione della musica attraverso uno strumento, la radio, che non garantiva la purezza del suono; il direttore d’orchestra avrebbe poi cambiato questo suo punto di vista in America).

 

Con il termine ‘jazz’ veniva indicata tutta la musica ritmica, compresa quella leggera e lo swing. La URI diede spazio al genere nella stazione romana, che trasmetteva i concerti della Jazz Band dell’Albergo di Russia di Roma; questa formazione apriva ogni giorno i programmi di RADIOROMA alle 17.15 del pomeriggio direttamente dall’Albergo, poi dalla sede romana della RAI fino al 1966, in viale Mazzini, da cui sono stati trasmessi i radiogiornali fino al 1992. All’inizio la Band suonava un repertorio piuttosto vasto, ma dal 1925 si trasformò in una vera e propria Jazz Band fino alla fine dell’URI. Nel suo spazio questa orchestra presentava musica da ballo, musica ritmata, jazz, foxtrot, charleston, ma gli ascoltatori si mostravano piuttosto diffidenti nei confronti di questa  moderna musica americana, che dai sondaggi risultava essere la meno gradita (in testa alla classifica di gradimento stava la lirica). L’offerta di musica ‘jazz’ venne ampliata nel momento in cui ad aumentare furono gli ascoltatori più giovani.

 

 

Per ciò che concerne le trasmissioni di PARLATO, un loro primo grande gruppo è composto da programmi culturali di cronaca e costume.

 

Le RUBRICHE trattano di cultura, cronaca, costume, viaggi, moda, astronomia, salute igiene; alcuni titoli di trasmissioni sono “Curiosità storiche”, “Città e paesi”, “Rivista della moda”, “Chiacchiere scientifiche”, “I consigli del medico”. La prima stazione a tenere rubriche fisse fu quella di Milano, ben presto seguita da quelle di Roma e Napoli. Molto seguite erano le rubriche tenute da Alberto Colantuoni, un giornalista e commediografo che ‘inventò’ la forma dell’avanspettacolo che si sarebbe diffuso negli anni ’30, ovvero della rivista come forma di teatro autonoma. Tra il 1925 ed il 1930 Colantuoni condusse una rubrica molto seguita, intitolata “Di tutto un po’”, che riscosse grande fama tra i primi ascoltatori. Adele Della Porta, invece, giornalista di costume, condusse una rubrica di moda intitolata “Il costume femminile”; Francesco Buffoni si occupava invece de “L’automobile”. Tutte le rubriche avevano una durata variabile tra i 5 ed i 15 minuti.

 

Le CONVERSAZIONI RADIOFONICHE formano un vero e proprio genere; quella della radioconversazione fu la forma più diffusa dei programmi culturali nel corso degli anni ’30, ma dopo la guerra le conversazioni scomparvero dai palinsesti. Le conversazioni radiofoniche erano un adattamento al nuovo mezzo del genere ottocentesco della conferenza pubblica, molto diffuso in Europa e Stati Uniti. Quello del ‘conversatore pubblico’ era un vero e proprio stile, ed i conferenzieri in radio erano gli stessi che parlavano nei circoli e nei teatri. Ci si rese però ben presto conto che il modello tradizionale mal s’adattava al nuovo mezzo per via di:

- motivi tecnici: il conferenziere era abituato a tempi dilatati, me in radio si trovava costretto ad attuare una sintesi; inoltre era abituato a enfatizzare le proprie parole utilizzando la gestualità, che in radio era del tutto ininfluente a far presa sul pubblico; inoltre i conferenzieri facevano leva sulle variazioni del tono della loro voce, variazioni che alla radio erano pressoché impercettibili; infine essi erano abituati all’improvvisazione, che era considerata come una colonna portante della conferenza pubblica, mentre in radio i loro discorsi dovevano essere stesi per iscritto per essere approvati dalle autorità competenti prima della lettura;

- motivi socio-culturali nella peculiarità del pubblico radiofonico: alle conferenze il pubblico era conosciuto ed omogeneo, mentre in radio viene percepito come sconosciuto e disomogeneo, anonimo; era per il conversatore molto difficile sapere chi stava all’ascolto, mancava il feedback, non si potevano cogliere le reazioni del pubblico.

 

Il genere dovette così essere adattato, e trasformato nella forma del dibattito e delle riflessioni teoriche; il successo giunse però in relazione alle capacità oratorie dei singoli conversatori, alla loro abilità ed al loro stile. Per tutti gli anni ’30 il genere della conversazione radiofonica è uno tra i più graditi agli ascoltatori radiofonici, il cui interesse è dimostrato dall’enorme quantità di lettere che giungevano alle stazioni in riferimento ai temi dei vari dibattiti.

Spesso le conversazioni venivano inserite all’interno di cicli, e altrettanto frequentemente esse potevano essere a sé stanti. Per ciò che ne riguarda i contenuti, nelle conversazioni erano trattate materie umanistiche riferite alla cultura letteraria e storica; le prime infatti trattavano di poesia latina, poi dalla stazione di Milano lo storico Corrado Barbagallo ne organizzò un ciclo a carattere storico. Le stazioni si differenziarono e specializzarono tra di loro: Roma puntava sulla sua ‘romanità imperiale e paparina’, mentre Milano giocava la carta del patriottismo con rievocazioni di personaggi ed eventi grazie all’intervento di un nutrito gruppo di uomini di cultura.

 

Esistevano poi TRASMISSIONI ESTEMPORANEE: ad esempio quelle incentrate sulla dizione di versi, in cui la stazione di Milano si era specializzata; quelle inerenti alle celebrazioni di ricorrenze particolari (come quelle per il 25esimo anno di regno di Vittorio Emanuele, per il trigesimo della morte della Regina Margherita, per la rievocazione dell’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale realizzata da Colauntuoni, rievocazione che fece molto scalpre per via dell’inserimento delle voci degli ex-combattenti, e che portò alla formazione di un nuovo genere, quello della RADIOSCENA RIEVOCATIVA).

 

Non si può parlare di un orientamento culturale organico per la URI in questi anni; la fisionomia culturale dei programmi radiofonici rimase incerta e dai contorni sfumati. Essa era genericamente nazionalistica e patriottica, ancorata alla tradizione umanistica (la scienza e la tecnica erano trascurate), il milieu piccolo o medio borghese, tradizionalista ma con un’impronta di forte attualità fornita da Filippo Tomaso Marinetti, il quale colse la peculiarità espressiva della radio e la utilizzò in modo nuovo originale senza però sconvolgere la linea culturale che, in generale, era incerta e tradizionalista.

 

Sempre all’interno della vasta categoria del parlato si possono inserire le trasmissioni di INTRATTENIMENTO, che negli anni ’30 avrebbero iniziato ad essere definite come ‘varietà’. Nei primi tre anni di programmazione per l’intrattenimento vengono preparati soltanto programmi sperimentali: nel marzo 1926 fece la sua prima apparizione radiofonica Ettore Petrolini, che recitò un monologo in cui parodizzava la tragedia di Maria Stuarda; Petrollini avrebbe continuato a lavorare in radio (ad esempio nel 1931 avrebbe condotto una rubrica di varietà radiofonico sponsorizzata dalla Buitoni e dalla Perugina) ma il suo rapporto con il mezzo non fu idilliaco: Petrolini si adattava ad esso, ma considerava l’assenza di un pubblico fisicamente percepibile come un limite. Tale posizione è emblematica di una certa fascia di intellettuali.

 

Altro genere è quello del TEATRO ALLA RADIO: le trasmissioni radiofoniche collegate al teatro dono tra le più antiche, anzi i collegamenti con i teatri attraverso il telefono hanno anticipato la radio stessa con strumenti come il teatrofono, una forma diretta di trasmissione per telefonia circolare messo a punto nel 1881 da Clemente Ader, uno dei padri dell’aviazione, che preparò per l’Esposizione Universale di Parigi l’apparecchio con scopi dimostrativi e non commerciali. I dispositivi presenti in un teatro venivano connessi attraverso dei cavi telefonici agli spazi dell’esposizione parigina, da dove gli spettatori potevano indossare degli auricolari per ascoltare la lirica cantata all’Opéra. Il congegno del teatrofono fece grande scalpore e venne adottato da tutte le società telefoniche, tra cui l’italiana L’Araldo Telefonico. Al momento della sua nascita, la radio ereditò il genere, ed i collegamenti dai teatri erano tra le trasmissioni più richieste dagli ascoltatori poiché all’epoca il teatro era ancora uno spettacolo popolare, non d’élite. Ma la mera trasmissione dai teatri consisteva in qualcosa di riduttivo rispetto al teatro alla radio, era soltanto un trasferimento di uno spettacolo pensato per ina forma di comunicazione plurisensoriale: il teatro si guarda e si ascolta, ma dalla radio si colgono soltanto i dialoghi e, in maniera quasi impercettibile, i rumori di scena; l’esecuzione di una messa in scena viene così fortemente pregiudicata dal mezzo radiofonico. Sono allora nati due generi specifici di teatro pensati per la radio:

1) il teatro radiofonico, in cui il repertorio teatrale originariamente pensato per la messa in scena plurisensoriale viene adattato e ridotto per servire il nuovo mezzo (viene dunque espulsa parte della gestualità, come anche le pause, e vengono inseriti rumori ben comprensibili);

2) il teatro per la radio, che nasce alla fine degli anni ’20 e avrà grande fortuna nella forma del RADIODRAMMA, originato da un testo scritto appositamente ed esclusivamente per la radio. Il teatro alla radio avrebbe suscitato anche riflessioni e dibattiti teorici sugli stili di recitazione e regia radiofonica.

In generale, la radio fu per il teatro estremamente stimolante, molto più di quanto sarebbe stata la televisione, mezzo nel quale venne semplicemente trasposto il teatro nelle sue forme già consolidate senza che la televisione abbia portato allo sviluppo di un ‘teatro televisivo’. Per la radio scrissero drammi tutti i maggiori drammaturghi del ‘900, Beckett, Pinter, ecc. Molto celebre in quest’ambito era Orson Welles, che prima di diventare regista cinematografico era stato per lungo tempo autore di spettacoli radiofonici.

 

Nel 1926 fanno la loro comparsa in radio le prime trasmissioni di teatro di prosa: realizzate in modo rudimentale, esse consistevano in composizioni senza regia affidate agli stessi annunciatori. Il primo esperimento di teatro radiofonico fu attuato il 18 gennaio 1927, momento in cui venne trasmesso il precursore del teatro per la radio, “Venerdì 13”, il cui autore era Gigi Mighelotti, che aveva tratto lo spettacolo dall’opera di un altro autore dell’epoca. “Venerdì 13”, esageratamente ricco di effetti sonori, ottenne un grande successo, tale da essere replicato più volte. Il genere infatti piaceva molto agli ascoltatori, e la produzione di opere di teatro per la radio aumentò notevolmente da quel momento in poi. Dal primo referendum indetto dall’URI nel febbraio 1927 emergeva una grande richiesta di programmi teatrali (e di musica lirica) ,a il repertorio radiofonico disponibile era esiguo rispetto alle richieste.

 

Esisteva poi la categoria dei PROGRAMMI SPORTIVI: le prime notizie sportive erano state trasmesse dalla stazione di Milano nel 1926. La loro rilevanza era data soprattutto dal fatto che costituissero un’anticipazione di quanto la carta stampata avrebbe diffuso il giorno seguente, problema che avrebbe a poco a poco coinvolto tutto il settore dell’informazione. Nel 1927 iniziarono le trasmissioni ‘in contemporanea’ dei grandi avvenimenti sportivi; non si trattava ancora di vere e proprie radiocronache, semplicemente tali trasmissioni davano notizie circa un dato avvenimento in diretta, non esistevano ancora mezzi per trasmettere all’aperto. Lo sport, fin dagli albori della radio italiana, si configura come un elemento di grande importanza.

 

Furono ben presto create TRASMISSIONI PER FASCE SPECIALI DI UTENTI.

 

Tra di esse, una categoria è formata dai programmi che si rivolgono ai CONTADINI. La prima stazione ad organizzare trasmissioni per questa fascia di utenza è quella di Milano, che anticipa Roma con conversazioni su temi agricoli poi trasformate in rubriche con cadenza periodica. Sia la stazione di Roma che quella di Milano dedicavano un quarto d’ora al giorno (escluse le domeniche) ad appuntamenti fissi dedicati ad un pubblico contadino.

 

Le conversazioni erano organizzate dalla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari: fornivano notizie di natura tecnica, legali, informavano gli ascoltatori sui prezzi dei prodotti agricoli e sulle previste condizioni meteorologiche. Si trattava principalmente di trasmissioni di servizio al cui interno erano contenuti pochi minuti di intrattenimento per la ‘famiglia dell’agricoltore’, con aneddoti, leggende, ecc.

 

Il Ministro dell’Economia Luigi Pelluzzo il 1 luglio 1926 aveva inaugurato il primo ciclo di trasmissioni regolari per gli agricoltori, ed in questo intervento aveva rivolto un appello affinché venisse realizzata la modernizzazione delle tecniche di coltura con un discorso intriso di retorica fascista. Nel luglio 1926 si era infatti in piena campagna per la ‘battaglia del grano’, campagna lanciata da Mussolini il 20 giugno 1925, con un discorso nel quale la via per lo sviluppo della cerealicoltura in Italia veniva indicata nella meccanizzazione, nell’utilizzo dei concimi e nelle sperimentazioni dei diversi tipi di grano. Il Fascismo mirava ad un rilancio delle colture granarie, al ripristino del dazio sul grano, al rilancio estensivo più che intensivo al fine di ridurre il deficit delle importazioni di grano; l’obiettivo del Fascismo era che l’Italia raggiungesse l’autosufficienza granaria, anche se ciò avrebbe frenato l’assetto delle colture italiane specializzate. La ‘battaglia del grano’ era una delle prime mobilitazioni del popolo italiano che il regime avrebbe cercato di attuare attraverso una campagna propagandistica che si rivelò efficacissima. Altra battaglia fu quella demografica, seguita da quella culturale per il ‘ruralismo’ (colonna ideologica portante del fascismo che avrebbe portato ad una bonifica integrale di ampie zone).

 

A questo indirizzo Mussolini diede avvio con il discorso tenuto alla Camera il 26 maggio 1927, e venne confermato da leggi e normative a favore della ruralizzazione. L’obiettivo era sia culturale che ideologico, e mirava alla valorizzazione della società contadina in contrapposizione all’urbanesimo avanzante, considerato una delle cause della ‘sterilità della nazione’. Il fatto che la trasmissione fosse avvenuta su RADIOROMA e su RADIOMILANO indicava chiaramente che il Fascismo stesse attribuendo un grande ruolo alla radio per il rilancio dell’economia rurale italiana. La radio poteva infatti parlare ai contadini, analfabeti e poco raggiungibili da altri mezzi di comunicazione; proprio per questo al pubblico di agricoltori veniva data la priorità del nuovo mezzo. Ma i contadini effettivamente in ascolto della radio in quegli anni erano pochissimi, ed i cicli di programmi a loro dedicati caddero nel vuoto. Queste trasmissioni, tra l’altro, erano pensate sull’esempio di quanto era stato fatto dalle altre emittenti europee, per le quali si configuravano come le trasmissioni più seguite; soprattutto negli Stati Uniti, le famiglie contadine possedevano un apparecchio radiofonico fin dagli inizi della programmazione. Dal 1925 al 1929 i contadini italiani non disponevano di radio, ed a questa loro esigenza si sarebbe cercato di porre rimedio nel corso degli anni ’30, in cui venne iniziata una campagna per la dotazione di apparecchi radiofonici nelle campagne (Radiorurale).

 

Nella programmazione della URI avevano un ruolo rilevante i PROGRAMMI PER L’INFANZIA. Anche in questo campo è stata la stazione milanese a lanciare il genere mandando in onda “Il cantuccio dei bambini”, trasmesso dal 1926 al 1936 fu uno dei programmi più longevi e più riusciti. Esso era molto gradito ai piccoli ascoltatori, era una sorta di ‘contenitore’ del tardo pomeriggio in cui erano proposti giochi, musica per l’infanzia, fiabe, indovinelli, brani di racconti e persino commediole per bambini da loro stessi recitate (genere che sarebbe in poco tempo decaduto).

Curatrice della trasmissione era Elisabetta Oddone, una maestra di formazione montessoriana che seguiva le indicazioni della grande pedagogista; insieme ad Elisabetta Oddone ad occuparsi del programma era anche Ettore Marcadonna, che spesso impersonava il Mago Blu, il primo personaggio inventato per i bambini. Il modello montessoriano era fondato sui buoni sentimenti e sugli ideali patriottici, analogamente al modello proposto da De Amicis. “Il cantuccio dei bambini” era una rubrica quotidiana, trasmessa tutti i pomeriggi seguendo uno schema settimanale: il lunedì veniva proposta “La rubrica dei perché” e la lettura de “L’Enciclopedia per ragazzi” della Mondatori; il martedì ed il giovedì erano incentrati sulla musica e le letture di intrattenimento: il mercoledì veniva riproposta “La rubrica dei perché” insieme a scenette comiche di tipo teatrale; il venerdì altre letture da “L’Enciclopedia per ragazzi”; il sabato ancora “La rubrica dei perché” e la musica per bambini. Nel programma si alternavano alcuni personaggi, come il Mago Blu o altre invenzioni di fantasia come Romildino. Erano molti gli attori, scrittori e ospiti musicali che preparavano lavori per queste trasmissioni per bambini. Carlo Alberto Blanche teneva delle conversazioni e rispondeva alle domande dei piccoli ascoltatori. Spesso, oltre alle messe in scena, anche le musiche venivano allestite dagli stessi bambini, quelli di una scuola d’arte milanese, la Fani, anch’essa di ispirazione montessoriana e fondata dalla stessa Oddone.

 

Ben presto le iniziative della stazione di Milano furono imitate da RADIOROMA, che diede avvio al “Giornalino radiofonico del fanciullo”, creato da Cesare Ferri; anche questo programma fu molto longevo e continuò dal 1926 al 1938. Era organizzato come una fascia pomeridiana, dalle 17 in poi, e trasmesso dal lunedì al sabato; rispetto a “Il cantuccio dei bambini”, la trasmissione romana si rivolgeva ad una fascia d’età superiore. Aveva la struttura di un giornale quotidiano ed ospitava rubriche fisse come “Breve esordio di carattere patriottico ed educativo”, notizie, “Il consiglio igienico”, “Lo spunto religioso”, letture ricreative di romanzi a puntate, fiabe per i più piccoli. Ideatore, curatore e regista della trasmissione era Ferri, un insegnante romano che inventò il mitico personaggio di ‘Nonno Radio’ molto noto negli anni ’30, a cui si sarebbe affianca anche ‘Zia Radio’ di Maria Luisa Boncompagni. Apparve anche il personaggio di ‘Babbo Radio’, impersonato da un ex-militare cieco di guerra di cui si ignora il nome. In questo clima, agli ascoltatori del programma ci si rivolgeva come alla ‘nipoteria’, termine molto in voga anche per via dei fumetti di “Topolino” che si stavano diffondendo.

Gli ascoltatori potevano prendere parte alla trasmissione ed incontrarsi anche ad di fuori di essa poiché la trasmissione organizzava incontri e gite, ‘mobilitava’ il suo pubblico. Il programma era stato messo in onda su esortazione di Mussolini, che era stato un maestro; rispetto all’analogo programma milanese, quello romano era maggiormente improntato di ideologia fascista, maggiormente schierato in prospettiva di un pubblico di fascia d’età superiore, e spesso proponeva eventi storici narrati in prospettiva dell’esaltazione della nazione. Negli anni ’30 il “Giornalino” iniziò ad essere messo in onda all’interno di altri programmi come “La Camerata dei Balilla e delle Piccole Italiane”. Nonostante l’impronta pedagogica e fascista i personaggi diffusi dalla radio erano molto popolari tra i giovani ascoltatori.

 

La stazione di Napoli, pur essendo sorta più tardi rispetto alle due di Roma e Milano, ben presto organizza un programma per bambini chiamato “Bambinopoli”; anch’esso molto longevo, sarebbe stato programmato fino all’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, diventando il programma di maggiore successo dell’emittente napoletana, ottenendo un grande seguito e suscitando una intensa partecipazione del pubblico. Curatrice di questo programma era Annita Garzia, la quale creò altri personaggi di fantasia come ‘Nonnina della Radio’. L’idea era quelle di una città ideale radiofonica per bambini, una ‘grande confederazione’ dotata di un suo statuto in articoli contenente i diritti e i doveri dei ‘bambinopolesi’. Anche questa trasmissione era fortemente improntata di ideologia fascista: era lo specchio ideale di quella società fascista fondata sulla disciplina e sullo studio.

 

Tutti questi programmi avevano un marcato carattere elitario, erano destinati ai bambini della alta e media borghesia provenienti da famiglie agiate e colte. Nell’aprile 1926 sarebbe nata l’Opera Nazionale Balilla, con altri programmi legati al progetto educativo fascista.

 

 

Alcuni programmi radiofonici erano curati direttamente dalle ORGANIZZAZIONI FASCISTE. Da subito si verificò infatti una forte sinergia ed un grande coordinamento tra la radio e le organizzazioni parallele al regime. L’Opera Nazionale del Dopolavoro (ONL) fu la prima organizzazione a disporre di un proprio spazio radiofonico: nel giugno 1926 andò in onda la prima puntata del programma intitolato “Comunicazioni del Dopolavoro”, partito a Milano e poi diffuso anche a Roma e Napoli, La OND era stata istituita nel 1925 dopo che il regime ed il governo fascista già avevano distrutto o fascistizzato tutte le organizzazioni del movimento operaio (fatta eccezione che quelle di ispirazione cattolica). La OND aveva il compito dell’organizzazione del tempo libero (dopo il lavoro) dei lavoratori nelle forme del divertimento collettivo. Un ruolo centrale era riservato alle aziende: la OND offriva infatti servizi sociali e attività di divertimento, sport, turismo di massa.

I suoi 10 minuti di trasmissione radiofonica erano finalizzati all’informazione. All’inizio del 1926 la OND non è ancora una vera e propria organizzazione di massa, i suoi iscritti sono soltanto 280.000; sarebbe diventata un’organizzazione di massa nel corso degli anni ’30, quando il numero dei suoi iscritti avrebbe raggiunto la cifra di 4.500.000 a cui andavano aggiunti i componenti delle loro famiglie. I 10 minuti riservati alla diffusione di informazioni su igiene ed attività ricreative da parte della OND erano percepiti dal pubblico come noiosi. Dal primo referendum, quello del 1927, emergeva chiaramente che i programmi della OND fossero sgraditi all’utenza, percepiti come un’imposizione.

Dal settembre 1927 anche l’ENIT (Ente Nazionale per l’Industria e il Turismo) chiede uno spazio radiofonico, ed ottiene pochi minuti ogni sera in cui trasmette una sorta di giornale radio contenente resoconti sulle attività turistiche e sulla viabilità.

 

Vi sono poi le TRASMISSIONI INFORMATIVE. Nell’ottobre 1924 la Stefani era stata indicata come l’unica agenzia alla quale era consentita la stesura dei bollettini. Dall’ottobre 1924 e per due anni, la URI prosegue nella trasmissione di notiziari che non sono altro che comunicati della Stefani senza aggiunte e senza alcun tipo di organizzazione delle notizie, in una presentazione che risultava essere molto poco accattivante per il pubblico. Nel settembre 1926 la URI chiese al Governo l’autorizzazione ad ampliare i propri servizi di informazione inserendo al loro interno anche notizie tratte dai quotidiani, appoggiandosi dunque alla stampa. Il Governo accordò questa a autorizzazione senza alcuna resistenza: la stampa era già stata fascistizzata o, se sovversiva, eliminata. La stazione di Milano chiese al quotidiano “Il Popolo d’Italia” di potersi servire delle informazioni contenute nelle sue pagine per nutrire i propri notiziari; il quotidiano accettò e si impegnò a fornire ogni sera alla stazione radiofonica i sommari delle notizie che sarebbero state pubblicate il giorno successivo, dunque la URI avrebbe potuto fornire ‘anticipazioni’ del quotidiano. “Il Popolo d’Italia” con questa collaborazione si faceva pubblicità, mentre la URI evitava i fastidi dei controlli sulle notizie che avrebbe trasmesso poiché esse erano già ‘filtrate’.

L’esempio milanese fu seguito dalla stazione di Roma a partire dal maggio 1927 con l’appoggio su di un altro giornale ufficiale del Fascismo, “L’Impero”. Con queste collaborazioni i notiziari radiofonici erano innegabilmente più ricchi di notizie, ma il settore dell’informazione mostrava ancora forti carenze: i notiziari non erano regolari, non ‘creavano’ le notizie, erano semplicemente una trasmissione di informazioni alla rinfusa, presentate senza alcun tipo di ordine né di selezione. Le tematiche che prevalevano erano quelle della politica economica, della cronaca e dei fatti curiosi. Nessun utente, all’epoca, accendeva la radio appositamente per sentire queste notizie.

 

La pubblicità radiofonica tra il 1926 e il 1928.

 

La pubblicità radiofonica fa la sua comparsa nell’ottobre 1926, due anni dopo l’inizio delle trasmissioni. Nell’aprile 1926 era nata la società che avrebbe poi gestito la pubblicità radiofonica e televisiva, la SIPRA, la prima agenzia pubblicitaria italiana, nata con lo scopo di raccogliere e gestire la pubblicità che la radio avrebbe dovuto trasmettere. L’iniziativa per la sua nascita era stata presa dall’ambiente dell’industria e dell’editoria: da alcuni imprenditori milanesi costruttori di radio, tra cui Allocchio (della Allocchio-Bacchini), e dall’editore milanese Arnoldo Mondatori. La SIPRA venne piemontizzata nel 1931, quando il suo pacchetto azionario fu acquistato dalla SIP. La trasmissione dei primi comunicati radiofonici era stata molto rudimentale: le pubblicità venivano lette durante i lunghi intervalli tra uno spettacolo e l’altro dagli annunciatori in modo poco accattivante (ed infatti dal referendum sarebbe emerso che nessun utente la apprezzava né voleva sentire).

 

La TIPICA PROGRAMMAZIONE QUOTIDIANA del periodo, per la stazione milanese, iniziava alle 12.15 con un breve notiziario, seguito da un concerto variato o un’antologia musicale; dopo un lunghissimo intervallo le trasmissioni riprendevano alle 16.15 con informazioni (per lo più finanziarie) e la messa in onda di alcuni ballabili; una seconda pausa si protraeva fino alle 18.00, ora in cui iniziava il programma “Il cantuccio dei bambini”, seguito da altre brevi trasmissioni per agricoltori e contadini gestite dalla Federazione Italiana Consorzi Agrari. Alle 20.00 le trasmissioni riprendevano con il segnale orario, il notiziario dell’ENIT, brevi lezioni di lingue straniere e lo spazio dedicato all’OND, per concludersi col momento ludico di musica serale (generalmente un concerto o un’opera lirica o, più raramente, uno spettacolo teatrale). Alle 22.45 venivano trasmesse le ultime notizie e un quarto d’ora di musica leggera per i pochi ascoltatori rimasti. L’unica trasmissione antimeridiana di questi primi anni dell’URI era diffusa la domenica mattina: si trattava di un concerto di musica sacra. La URI aveva chiesto la possibilità di inserire a fianco di questo appuntamento domenicale anche un programma religioso, ma questo venne accordato soltanto dopo la firma dei Patti Lateranensi, nel 1929. Tutta la programmazione era organizzata per ‘appuntamenti’, ma raramente la URI riusciva a rispettarli con puntualità, e frequenti erano le lamentele degli ascoltatori per i ritardi.

 

La rete nazionale era ancora incompleta, numerosi e frequenti erano i problemi di collegamento tra le stazioni, ed ogni programma si configurava come un grande investimento poiché ogni stazione non aveva ancora un pubblico molto consistente. Se ci fosse stata una sola radio nazionale la produzione si sarebbe razionalizzata (ben presto infatti le produzioni avrebbero iniziato ad essere ‘accorpate’). Inoltre tutte le programmazioni erano ‘al buio’, di fatto l’utenza radiofonica rimaneva pressoché sconosciuta e le preferenze degli ascoltatori potevano essere soltanto ipotizzate attraverso le lettere ricevute da “Radiorario” e attraverso i sondaggi, che però non venivano ancora effettuati in modo sistematico. Negli Stati Uniti ed in altri paesi si era diffusa la pratica del sondaggio d’opinione tra gli ascoltatori, e la URI organizzò un ‘referendum’ nel febbraio 1927 lanciato dal “Radiorario”. Il pubblico veniva chiamato a rispondere ad una serie di domande sulla programmazione dell’URI; al giorno d’oggi sono rimaste poche schede compilate, ma su quelle rimaste è comunque possibile compiere un’analisi. Il risultato complessivo sembra essere moderatamente positivo; unanime era la richiesta di maggiori programmi di teatro radiofonico, il genere più richiesto insieme alla musica lirica; giudizi negativi erano espressi in relazione alla programmazione culturale, come le radioconversazioni; pessimo era il giudizio per le trasmissioni gestite dall’OND, considerate noiose, come anche i suoi notiziari; piuttosto numerose erano le proteste per la presenza di pubblicità all’interno della programmazione. Dal referendum emergeva il ritratto dell’ascoltatore medio: era benestante, urbano (completamente assenti gli ascoltatori provenienti dal mondo rurale), non molto giovane, dotato di un livello di cultura medio-basso, e soprattutto non politicizzato.

 

I rapporti tra la URI e il regime.

 

Per quanto concerne i contenuti dei programmi, la presenza della politica e del regime in essi non è forte, e in apparenza la presenza del nuovo clima politico trapela da pochi elementi. Esistono però delle peculiarità che segnalano la presenza di un regime:

1) la carenza di informazioni (in parte dovuta anche a ragioni tecniche);

2) la parzialità delle informazioni fornite;

3) la messa al bando di qualsiasi sfumatura politica all’interno delle trasmissioni;

4) la politica concentrata in poche occasioni, come nelle manifestazioni del regime;

5) il fatto che tuta la programmazione della URI fornisse un’immagine della realtà italiana gratificante, serena, pacificata e priva di conflitti, come fosse un’isola felice.

Si trattava di segnali molto chiari, che indicavano da parte della URI qualunquismo, ignavia e disimpegno, in una tendenza che sembrava assecondare e favorire la costruzione di una dittatura: il fascismo veniva presentato come fosse una componente fisiologica della natura della realtà italiana.

 

Se all’inizio il tasso di politicizzazione della radio è ancora basso, con il passare del tempo la situazione si sarebbe modificata: la convenzione del 1924 stipulata tra la URI ed il governo prevedeva anche due ore di programmazione destinate alle comunicazioni del regime, ore che di fatto non erano state mai utilizzate (fatta eccezione che dalla OND e dalla ENIT, che però erano semplici organizzazioni parallele al regime).

 

Non emergono precisi e diretti indirizzi sul taglio delle trasmissioni e sull’offerta dei programmi: il regime controllava la radio, ma ancora non la sfruttava apertamente e sistematicamente per scopi propagandistici, per alcune ragioni:

il regime sapeva bene che gli abbonati in quei primi anni erano pochissimi, componevano un pubblico esiguo per il quale non sembrava conveniente investire (ed inoltre l’utenza apparteneva ad una fascia della popolazione già largamente conquistata dall’ideologia politica dominante);

Mussolini proveniva dal mondo della carta stampata, era estremamente sensibile alle problematiche e al potere dei quotidiani ma aveva scarsa sensibilità ed attenzione per un nuovo mezzo come la radio; inoltre il primo esperimento a cui aveva partecipato non aveva contribuito ad accendere il suo entusiasmo per il mezzo, al quale trasmetterà nuovamente il 22 ottobre 1925 in occasione del terzo anniversario della marcia su Roma sotto la pressione di Costanzo Ciano (al quale, dimostrano le corrispondenze, Mussolini rispondesse in proposito in modo molto evasivo);

durante i primi anni del regime non risultava chiara la funzione e la potenzialità ideologica e propagandistica della radio, e per questo alla URI fu lasciato il ‘guinzaglio lungo’ per molto tempo;

l’attività dell’URI tra il 1925 ed il 1928 coincide con una fase di passaggio, transitoria, da un regime autoritario al regime totalitario che si sarebbe costituito negli anni ’30.

 

Ancora non era infatti scattata la politica di MOBILITAZIONE PERMANENTE DELLE MASSE, e ancora la radio non veniva sfruttata per fini propagandistici. Ma l’intervento del regime sulla programmazione radiofonica aumentò gradualmente, ed in modo quasi impercettibile divenne consistente; tale presenza si poteva cogliere nell’aumentata frequenza di collegamenti con manifestazioni, adunate, cerimonie del regime trasmesse attraverso il collegamento telefonico tra le stazioni. Si trattava di manifestazioni legate a chiare scelte del regime: un esempio rilevante è quello del 28 ottobre 1926 trasmesso da RADIOMILANO con il radiocronista Innocenzo Caffa, o quello del 20 ottobre 1926 costituito da un discorso del Duce dal Teatro Costanzo di Roma a proposito della battaglia del grano. Le stazioni di Roma e Milano venivano collegate provvisoriamente con un cavo telefonico, ed i teatri diventavano centri di ascolto collettivo della radio, in cui però non venivano ospitate folle oceaniche ma gerarchie di partito e notabili locali (le folle avrebbero riempito i teatri per l’ascolto radiofonico nel 1935, per seguire gli sviluppi della guerra d’Etiopia).

 

A questa situazione coincideva la progressiva eliminazione delle voci dell’opposizione; per i quotidiani questo obbligo al silenzio fu un vero e proprio trauma poiché la stampa era nata come assolutamente libera, ma il clima non fu altrettanto traumatico per la radio, che era nata sotto il controllo del regime. Tra il 1925 ed il 1926 Mussolini mise mano a drastiche operazioni legislative: l’opposizione venne eliminata, i poteri del Governo e del Presidente del Consiglio furono ampliati in un lento smantellamento dello stato liberale; furono introdotte misure repressive, mentre parallelamente era avviata la politica delle organizzazioni ‘satelliti’ e si costruiva l’impalcatura dei sindacati fascisti nell’ottica del raggiungimento di un MODELLO DI STATO CORPORATIVO. La stampa d’opposizione era stata eliminata in breve tempo, mentre quella moderata era stata fascistizzata e messa sotto il controllo del regime in una parabola ascendente che si era conclusa nel 1926 con “Il Corriere della Sera” di Milano e “La Stampa” di Torino. Tale processo veniva reso più efficace da uno degli organi fondamentali del regime, l’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio affidato in quel periodo alla direzione di Giovanni Capasso Torre.

 

Anche il CINEMA venne fatto rientrare in questa operazione dal 1923; l’istituto Luce divenne l’ente statale a cui dall’ottobre 1925 vennero affidati compiti di propaganda fascista. L’Istituto divenne anche un centro di produzione di documentari di propaganda nazionale alle dipendenze dell’Ufficio di Giovanni Capasso Torre, Una legge del 1926 introdusse l’obbligo per gli esercenti dei cinematografi di proiettare prima di ogni spettacolo i documentari prodotti dall’Istituto Luce, chiamati cinegiornali; i cinegiornali iniziarono ad essere diffusi dal giugno 1927 e ben presto divennero essenziali strumenti di trasmissione e manipolazione delle informazioni da parte del regime. Ne furono prodotti circa 3.000, e nella proiezione erano organizzati come una sorta di giornale quotidiano cinematografico contenente notizie di politica, attualità, sport e spettacolo volti a costruire un’entusiastica immagine del regime ed a enfatizzare la figura di Mussolini. La diffusione di questi cinegiornali fu realmente capillare poiché, in quegli anni, il cinema era una  frequentazione molto popolare. Per il cinema vennero anche varate misure di sostegno (in cui venne coinvolta anche la radio) al fine di far fronte alla crisi che lo aveva investito alla fine degli anni ’20.

 

In questo clima maturò l’esigenza di ristrutturare la concessionaria dell’URI e di riconsiderare la radiofonia italiana. La svolta fu determinata da alcuni fattori:

- dalla necessità di potenziare la rete radiofonica nazionale per cui servivano ingenti risorse;

- dal massiccio uso politico che il regime stava iniziando a fare della radio.

 

Nel gennaio 1927 nasce così la EIAR. Una Commissione di Studio era stata istituita per studiare i problemi della radiofonia ed il suo sviluppo; nella Commissione, i cui membri erano stati decisi dal Governo, si trovavano esponenti dalla cultura e del giornalismo ed esponenti del mondo politico: ciò significava che il regime aveva preso atto del ritardo dell’Italia rispetto agli altri paesi in un momento in cui era fervida la propaganda del regime a proposito delle scoperte di Marconi sulle onde corte a fascio, propaganda che veniva effettuata soprattutto all’estero al fine di dare l’immagine di un’Italia moderna e tecnologica (ma che, di fatto, in ambito radiofonico era molto più arretrata rispetto a Bulgaria ed Ungheria). La Commissione prese il nome di colui che la aveva presieduta, Augusto Turati, segretario del PNF; il suo lavoro proseguì per un paio di mesi fino ad arrivare alla stesura di un documento in cui veniva ribadita la natura squisitamente pubblica del servizio radiofonico ed in cui venivano formulate alcune proposte:

1) introdurre una tassa per la radiofonia e per il suo finanziamento;

2) istituire un Comitato di Vigilanza sulle trasmissioni radiofoniche;

3) stendere un piano programmatico del potenziamento della rete radiofonica italiana;

4) creare un nuovo ente radiofonico più potente, dotato di un capitale più ampio in cui siano rappresentate tutte le forze economiche e finanziarie interessate alo sviluppo delle radiofonia.

 

Il disegno di legge presentato dovette attendere la fine del 1927 per essere approvato ed emanato; con esso la URI fu trasformata in EIAR e una nuova convenzione stipulata nel 1927 ribadì i punti salineti della vecchia convenzione e concesse il monopolio alla EIAR per 25 anni.

 

Il passaggio dalla URI alla EIAR fu indolore, quasi impercettibile, fu la stessa Assemblea della URI a decidere per l’autoscioglimento. La nuova legge non cambiò la natura privatistica della società, la quale restava immutata anche per quanto ne riguardava la dirigenza (nonostante il cambio dei membri del Consiglio di Amministrazione). Il patrimonio fu ampliato di 2 milioni, raggiungendo un totale di 8 milioni di lire, che in breve tempo divennero 10; l’aumento aprì le porte a importanti guru finanziari ed industriali che avevano fiutato il clima favorevole: si trattava di costruttori di materiale radiofonico e di dirigenti del settore elettrico (settore che, in quegli anni, in Italia stava avendo un vero e proprio boom); anche il Governo iniziò a mostrarsi interessato offrendo protezioni e tutela, per la EIAR il vento era cambiato. Nel Consiglio di Amministrazione dell’EIAR entrarono a far parte uomini nuovi, uomini che soltanto quattro anni prima non si erano mostrati minimamente interessati alla nascente azienda radiofonica.

 

Nel gennaio 1928 la mappa della proprietà dell’EIAR era invariata, le società fondatrici Radiofono e SIRAC ancora detenevano il comando tramite Marchesi e Solari e la carica di Direttore Generale era ancora detenuta da Raoul Chiodelli; la svolta si sarebbe verificata soltanto un anno dopo. Una novità di rilievo fu alla vicepresidenza: a fianco di Luigi Solari venne posto Arnaldo Mussolini, fratello di Benito e direttore de “Il Popolo d’Italia” dal 1922. La sua presenza alla vicepresidenza fu fugace: Arnaldo Mussolini morì infatti prematuramente ed improvvisamente nel 1931, ma la sua collaborazione diede al nuovo Ente un prestigiosissimo avvallo politico. Tale collaborazione significava la volontà del regime di mantenere uno stretto legame tra la radio e la stampa. Arnaldo Mussolini si configurava come il trait d’union tra il mondo della carta stampata e quello della radiofonia; non si limitò a compiti di dirigenza, ma prese parte anche ad attività progettuali e divenne uno tra i più attivi conversatori radiofonici sui temi storici e politici. Da subito si rese conto del carattere pedagogico della radio, ed a lui venne affidata una trasmissione emblematica, “Condottieri e maestri”, dal 1930.

 

Per dare impulso al nuovo Ente occorreva assicurargli adeguate risorse finanziarie: al fine di colmare il divario con i paesi stranieri sarebbero stati necessari forti investimenti, tali da ampliare e potenziare gli impianti. La convenzione tra il Governo e l’EIAR garantiva all’azienda radiofonica risorse finanziarie maggiori rispetto al passato: infatti, oltre a ribadire la presenza del canone e della pubblicità (la quale no superava il 10% delle trasmissioni), la convenzione permetteva un gettito proveniente anche da una nuova imposta sul materiale radiofonico, sui piccoli comuni e sugli esercizi pubblici. Inoltre all’EIAR veniva concesso il diritto di esproprio per le zone di pubblica utilità dove costruire nuovi impianti. Il canone venne però leggermente abbassato e divenne rateizzabile. Al fine di garantire la ‘italianità’ dell’Ente, il Governo obbligò l’EIAR a preferire le industrie italiane per l’acquisto delle proprie attrezzature, proteggendo così la produzione nazionale.

 

Venne poi accolta la proposta della Commissione Turati di istituire un Comitato di Vigilanza. Tale organo doveva essere presieduto da un membro del Parlamento, ed infatti alla sua Presidenza venne nominato il Presidente del Senato Tomaso Tittoni, un appassionato radioamatore la cui carica, considerata l’avanzata età, fu sostanzialmente onoraria. Il Comitato di Vigilanza non era un organo di controllo politico poiché questo tipo di controllo già veniva esercitato da dalle Prefetture e dal Ministero dell’Interno; si trattava di un organo consultivo che doveva elaborare progetti, proposte e misure di miglioramento del servizio radiofonico; era parte integrante dell’EIAR. Da qui in poi si verifica una vera svolta: fino a questo momento infatti il regime non aveva sfruttato pienamente la radio. Il Comitato di Vigilanza era composto da sedici membri, tra cui numerosi esponenti del mondo culturale ed economico italiano: il Presidente della Confindustria Antonio Benni, il delegato della Confederazione dei Commercianti Ettore Cartoni, il delegato del Consiglio Superiore delle Belle Arti Fausto Maria Martini, il redattore de “Il Popolo d’Italia” e rappresentante del Sindacato Fascista dei Giornalisti Gaetano Polverelli, il rappresentante della SIAE Giuseppe Moulè, il musicista Pietro Mascagni (prima del suo nome era stato proposto quello di Toscanini, che però non andava a genio a Mussolini), lo scrittore Lucio D’Ambra. Il Comitato di Vigilanza avrebbe accentuato il suo carattere tecnico inserendo nel suo organico tre docenti universitari di materie scientifiche e tre funzionari tecnici, oltre che Arnoldo Mondadori (anche fondatore della SIPRA).

 

Negli anni successivi la EIAR avrebbe conosciuto un grande sviluppo societario. Una fetta del suo pacchetto azionario venne acquistato dalla SIP nel 1929. La svolta avviene in senso industriale, è modificato il Consiglio di Amministrazione e, a seguito di questa modifica, i marconiani vedono diminuito il loro potere. La SIRAC manteneva invece un importante ruolo poiché rappresentante degli interessi americani.

Del C.d.A cambiò soltanto l’organigramma, invariati furono i ruoli ricoperti da Marchesi, Solari e Mussolini, ma alla Vicepresidenza fu aggiunto anche Ettore Conti, Presidente della Banca Commerciale; Consigliere Delegato divenne Giacomo Ponti, uno degli uomini di punta della SIP; altri membri importanti erano Giovanni Agnelli e Renato Panzarasa, quest’ultimo legato alla SIP e all’Italgas. Queste nuove presenze sono chiaro indice di accresciuti interesse e disponibilità nei confronti della radio da parte della finanza, dell’industria elettrica, di quella meccanica e di quella elettrochimica. La radio, per questi gruppi emergenti, non è attraente perché in grado di far ottenere utili immediati, è attraente per via dei vantaggi futuri sul piano della costruzione di impianti ed apparecchi radiofonici: di lì a poco, infatti, sarebbe partita l’operazione di potenziamento delle stazioni, per la quale i cavi sarebbero stati forniti dalla SIP. Agnelli, nel 1929, acquistò la Magneti-Marelli, azienda produtrice di apparecchi radiofonici.

 

La presenza della SIP si nota anche sul piano organizzativo: la EIAR divenne infatti piemontese, nel 1930 la sua direzione passò a Torino. Nel 1931 la SIP entrò anche in possesso dell’intero pacchetto azionario della SIPRA e fondò la casa discografica ufficiale della radio italiana, la Cetra.

 

Tra il 1930 ed il 1933 l’uomo più potente dell’EIAR fu Giacomo Ponti. Nel 1934 Marchesi morì dopo dieci anni di presidenza, e la sua carica venne ricoperta da quel momento da Giancarlo Vallauri, figura molto significativa. La situazione finanziaria dell’EIAR era ancora piuttosto critica, permaneva un notevole squilibrio tra le entrate e le uscite (che erano particolarmente consistenti poiché la EIAR si stava impegnando sul piano del potenziamento diffusivo). Erano anni di crisi economica, la SIP fu una tra le società che risentirono degli effetti della depressione, rischiando il fallimento; fu salvata dall’intervento dello Stato che intervenne attraverso l’IRI, l’Istituto di Risanamento Industriale, con un salvataggio che saldò i già stretti legami tra il pubblico e il privato, tra il potere economico e quello politico.

 

Il potenziamento della rete radiofonica fu notevolissimo, portò al completamento del ‘mantello’ radiofonico. Furono costruite nuove stazioni emittenti: nel gennaio 1928 una stazione di grande potenza costruita dalle Officine Marconi sorse a Milano; una nuova stazione nacque a Bolzano, piccola ma di elevata importanza nel quadro della politica dell’italianizzazione di alcuni territori del Sud Tirolo o Alto Adige. Un’altra stazione sorse a Genova; nel febbraio 1929 fu la volta di una stazione a Torino, dotata della potenza di 7kw/h e costruita dalla Western Eletric Company, la quale divenne ben presto la stazione di punta. A Roma fu inaugurata una seconda stazione, mentre l’intensificazione dei collegamenti tra i cavi permetteva di unificare i programmi con grandi vantaggi e con importanti conseguenze sulla razionalizzazione della produzione. Le prime trasmissioni in comune tra Milano e Torino avvennero tramite il collegamento con un cavo telefonico chiamato Cavo Ponti. Con la nascita delle stazioni di Torino, Genova e Bolzano appare evidente il fatto che il potenziamento coinvolga soprattutto il Nord Italia, mentre al Sud l’unica stazione è quella di Napoli: ciò non deve stupire, al Nord è infatti più ampio il bacino d’utenza, la densità urbana è maggiore, superiore è la disponibilità energetica, il mercato sembra essere più promettente ed il reddito medio è più elevato.

 

Nel gennaio 1930 a Roma sorsero le prime stazioni italiane a onde corte, che trasmettevano per un pubblico internazionale. Negli anni seguenti continuarono le operazioni atte a potenziare i collegamenti telefonici tra le varie stazioni (in particolare tra Genova, Milano e Torino, e tra Napoli e Roma). In seguito si iniziò a guardare al Sud, con la creazione di due importanti stazioni, quella di Palermo nel 1931 e quella di Bari nel 1932: la prima era destinata all’intero territorio della Sicilia, la seconda ad agganciare le coste dell’Adriatico, in particolare quelle dell’Albania. Con la creazione delle stazioni di Trieste, nel 1931, e di Bologna, nel 1932, il mantello radiofonico era stato completato.

 

Per ciò che concerne l’INDUSTRIA RADIOFONICA, su di essa, in America, ebbe forti ripercussioni il crollo di Wall Street; il mercato statunitense aveva infatti raggiunto la saturazione, e l’effetto della crisi fu notevole. In Europa invece, dove il mercato era ben lontano dalla saturazione, il suo sviluppo fu imponente. Nei primi anni ’30 l’aumento della produzione di apparecchi radiofonici e degli abbonamenti fu un vero e proprio boom (il caso tedesco è, in quest’ambito, particolare per via della forte spinta data al mercato radiofonico dalla politica di Hitler e dalla propaganda di Goebbles).

 

L’Italia beneficiò di questo sviluppo in modo marginale: era infatti in un momento di passaggio dalla fase artigianale a quella industriale nel settore radiotecnico, che si stava rafforzando con i primi processi di standardizzazione. Nonostante questi passi in avanti, soltanto una piccola fetta del mercato italiano era coperto dai prodotti delle industrie italiane; gli italiani tendevano ad acquistare radio americane o tedesche, prodotte dalla RCA o dalla Telefunken, industrie leader nel settore anche nella fornitura di pezzi alle fabbriche nostrane. Le aziende straniere avevano dislocato succursali in Italia, e le industrie italiane per ottenere appoggio avevano stretto accordi con esse. Una novità significativa fu costituita dall’avvento sul mercato di Radio Marelli nel 1930: era un’operazione della Fiat di Agnelli che aveva acquistato le azioni in modo tale da dar vita alla Magneti-Marelli. Patrocinatore dell’iniziativa è Costanzo Ciano, Ministro delle Comunicazioni e legatissimo alla Fiat. La partecipazione della Fiat a questa nuova industria le assicurava stabilità finanziaria, disponibilità di fondi ed una rete commerciale già rodata. Gli esordi della Marelli non furono brillanti, i primi modelli messi sul mercato non erano ancora competitivi, e gli apparecchi stranieri avevano ancora un prezzo inferiore. Intervenne allora l’aiuto governativo: il 18 settembre 1931 fu modificata la tariffa doganale per gli apparecchi italiani, venne introdotta una protezione più consistente, con una decisione non importante per i risultati immediati che avrebbe ottenuto ma per via del fatto che stesse dando fiducia agli investitori. Dal 1932 il prezzo degli apparecchi radiofonici diminuisce, e nasce la prima fabbrica italiana di elementi di base per la costruzione delle radio, le valvole termodinamiche, grazie alla quale è possibile non dipendere più dall’estero. Avvennero progressi significativi con ripercussioni sugli abbonamenti radiofonici.

 

Ancora non esisteva un apparecchio economico per tutti gli italiani, 1000£ era ancora una cifra poco abbordabile per il popolo. L’industria non si azzardava a costruire un apparecchio veramente economico come, invece, in Germania era stato fatto. La Marelli, nel 1933, né realizzò uno venduto al prezzo di 600£ ma di qualità pessima (ed il 1933 è l’anno in cui il reddito degli italiani tocca il livello più basso). Il paese dovrà attendere ancora per avere sul mercato un apparecchio veramente popolare. Il Governo attuò numerose misure di favore e tutela in questo settore: la EIAR venne addirittura esentata dal pagamento di una tassa sugli introiti al fine di agevolare il suo sviluppo. Il Governo iniziò anche un’opera di diffusione della radio nei suoi organismi paralleli, come la OND, e tale politica ottenne risultati, i cui più positivi furono quelli della OND, che vide moltiplicarsi il numero degli apparecchi nelle sue sedi.

 

Le trasmissioni della EIAR tra il 1928 e il 1933 e le novità nel palinsesto.

 

Soltanto dal 1933 la radio verrà utilizzata a pieno all’interno della macchina della propaganda fascista. La EIAR visse un periodo di transizione: nonostante le facilitazioni e la tutela che il Governo le offriva, la radio non era ancora realmente entrata nella vita degli italiani; il parco abbonati stava aumentando costantemente ma non clamorosamente, anche se una crescente attenzione iniziava ad essere riservata al nuovo mezzo da parte della stampa.

Per quanto riguarda le ore di trasmissione, dal 1929 aumentarono per via della presenza delle nuove stazioni: quella di Torino dà, rispetto alle altre, un contributo maggiore, dimostrandosi la più attiva anche nella creazione di programmi pomeridiani. Un nuovo periodo di stasi si verifica tra il 1930 e il 1931, ma già dal 1932 le ore di trasmissione riprendono ad aumentare. Il 56% della programmazione era destinato alla musica, il 44% al parlato nelle sue varie forme (2% al teatro, il 12& a conferenze e conversazioni, 11% ai notiziari, 5,4%  alle trasmissioni per bambini e agricoltori e alle trasmissioni di organi come l’OND, e 1,4 alla pubblicità).

 

Per ciò che concerne la programmazione musicale, il genere che continua a prevalere è quello del concerto variato, seguito dall’opera lirica, dall’operetta (che in questi anni inizia ad andare scemando nei gusti degli ascoltatori), una limitata offerta di musica sinfonica, poi canzoni, musica cantata in diretta o riprodotta da disco. Prosegue, dunque, una programmazione musicale eclettica e ontologica; si delineano, però, i primi orientamenti, che non sono casuali: aumenta la presenza di compositori di provata fede fascista, epigoni della tradizione musicale ‘verista’, amanti della musica italiana e contrari all’avanguardia musicale europea. Primo tra questi è Pietro Mascagni, al quale si possono accostare le figure di Umberto Giordano, Giuseppe Mulè e Rito Selvaggi. Mascagni e Mulè, in particolare, erano membri del Comitato Superiore di Vigilanza nato in contemporanea alla EIAR: il primo rappresentava il Sindacato dei Musicisti, il secondo quello degli Autori. Giordano avrebbe invece fatto parte della Commissione di Controllo che avrebbe sostituito il Comitato nel momento in cui Ciano (figlio) fosse entrato alla direzione del Ministero della Cultura Popolare. Si trattava di musicisti sensibili al nuovo mezzo radiofonico, i quali utilizzavano la radio anche per lanciare le loro nuove opere.

Nonostante il delinearsi di questo orientamento, in questi anni viene lasciato ancora spazio alla musica straniera per via di un banale motivo: se è facile programmare musica italiana nel campo della lirica (l’Italia, in quest’ambito, dipone di un ampio patrimonio), meno semplice è rinvenire una cospicua quantità di opere sinfoniche e cameristiche italiane. Dunque, a parole la EIAR difendeva la tradizione italiana, ma nei fatti si trovava costretta a ricorrere al repertorio straniero nei casi in cui esso fosse gradito al pubblico. In questi anni è marginale lo spazio lasciato ad altri generi musicali, come il jazz, ed è limitato anche lo spazio per il folk ed i canti popolari.

Una prima novità si ha nel 1930, anno in cui fa il suo ingresso nella radio italiana la musica riprodotta. Fino a quel momento tutti i brani proposti agli ascoltatori erano eseguiti in diretta negli studi della EIAR.

Una seconda novità sono le prime trasmissioni musicali di massa: dall’emittente di Roma, ad esempio, venne trasmesso un concerto inaugurale diretto da Mascagni; anche Toscanini, che in un primo momento aveva esitato, cede in questi anni alla radio, r acconsente la trasmissione di un suo concerto dalla Scala nel maggio 1930. Da qui iniziò una serie di grandi concerti radiofonici diretti dai piì noti compositori dell’epoca, a cui seguirono anche cicli di concerti bandistici (la tradizione bandistica era, in Italia, molto diffusa, e radicata soprattutto al Centro e al Sud).

 

Per ciò che concerne i programmi parlati, la loro spina dorsale è costituita da conferenze e conversazioni: da ognuna delle stazioni della EIAR, ogni giorno venivano trasmesse fino a sei conversazioni, solitamente organizzate in cicli; erano le stazioni di Roma e Milano ad essere specializzate nel genere. La durata media delle conversazioni era di dieci minuti, e spesso esse si configuravano come un riempitivo tra un concerto e l’altro. Alla fine degli anni ’20 né i temi né i collaboratori delle conversazioni radiofoniche erano differenti dagli esordi, e nella EIAR convivano, in quest’ambito, due poli opposti: il primo era quello della conversazione colta, accademica, redatta in un linguaggio aulico e destinata ad una ristretta cerchia di ascoltatori; il secondo era dato dalla conversazione leggera, disimpegnata, e non sembrava semplice raggiungere un compromesso tra le due tipologie. Inoltre i temi trattati erano troppo frammentari per consentire di cogliere un indirizzo culturale organico: talvolta le conversazioni vertevano su aneddoti e commenti, altre volte consistevano in recensioni, altre ancora in interventi satirici, o in divulgazioni storiche e scientifiche, ecc.

La tendenza comune era che in tutte le conversazioni venisse rigorosamente ribadita la versione ufficiale della realtà del paese, il quale doveva essere presentato come privo di problemi. Molto spesso anche le questioni di attualità venivano affrontate senza nessi con la politica; la storia era sempre appiattita in una visione edulcorata e marcata dal patriottismo e dal nazionalismo. In quest’ambito le novità furono quattro:

- le conversazioni iniziarono ad essere curate dall’Ente Italiano delle Organizzazioni scientifiche del Lavoro, ENIOS, di ispirazione fordista e statunitense, al fine di colmare la carenza della EIAR di conversazioni inerenti all’economia;

- Lucio D’Ambra, scrittore, iniziò presso la stazione di Roma a tenere un giornale parlato della vita letteraria ed artistica italiana, creando il prototipo di quello che sarebbe stato “Il giornale letterario radiofonico” che avrebbe riscosso grande successo negli anni ’50 e ’60; si trattava di una trasmissione breve ma costruita come un vero e proprio giornale letterario al cui interno si trovava un articolo di fondo, recensioni delle novità, notizie di vario tipo e, alla fine, una novella; dal 1928 al 1933 aumentarono le conversazioni dedicate alla letteratura e legate ai premi letterari come il Bagutta. Sembra molto probabile che dietro a questo tipo di trasmissioni ci fossero gli editori, ma poco indagato è stato il ruolo di Mondadori all’interno della EIAR in quegli anni;

- tra il 1924 ed il 1928 erano pochi i letterati e gli scrittori alla radio, diffidenti nei confronti del nuovo mezzo: successivamente sembra determinarsi una svolta, ed il numero dei letterati alla EIAR aumenta notevolmente con le partecipazioni di Luigi Pirandello, Sibilla Aleramo, Bontempelli, Angioletti, Gotta ed altri nomi celebri;

- la trasmissione emblematica del periodo è “Condottieri e Maestri”, inaugurata nel febbraio 1930 da Armando Mussolini; nel gennaio dello stesso anno il “Radiocorriere” aveva pubblicato un suo importante articolo, in cui veniva rilanciato il ruolo della radio, strumento del quale venivano illustrati i compiti e le potenzialità, che secondo Armando Mussolini dovevano essere prettamente pedagogici; la radio, in quest’ottica, era considerata come una cattedra, la cui diffusione doveva essere seguita e controllata attentamente; il programma venne organizzato come un ciclo di conferenze con personalità provenienti dal mondo della finanza, sull’industria e della cultura che parlavano in prima persona, venendo così indicati come modelli umani da seguire (ogni puntata aveva uno specifico tema). Tutti gli invitati erano uomini le cui attività erano coronate da un grandissimo successo, ed andavano a costituire una sorta di Pantheon di italiani viventi illustri nel campo dell’industria e dell’economia. Non erano qui esaltate le virtù militari, ma l’industriosità, la volontà, il lavoro e la disciplina, in linea con quel filone che aveva avuto fortuna editoriale a partire dall’Unità d’Italia (tra il 1870 e il 1890) che mostrava i ‘self-made-men’, il ‘self-helpismo’ e che esaltava le figure eroiche di borghesi della finanza, dell’industria e della cultura. Tra questi personaggi si può ricordare Ettore Conti, presidente della Banca Commerciale e di altre società, il qual era partito da umili origini e che tenne una conferenza sul valore e sul potere della formazione; Antonio Benni, capo della Confindustria, che tenne una conferenza a proposito del corporativismo; Antonio Capitani trattò delle virtù del risparmio; Borletti della crisi economica che si stava avvicinando e che analizzò in modo accattivante; il chirurgo Mario Donati, lo stesso Mussolini e molti giornalisti parteciparono al programma, ed il ciclo si concluse con l’intervento di Gino Rocca, giornalista che non parlò di sé ma del ‘condottiero dei condottieri’, il Duce.

 

Per quanto riguarda il teatro alla radio, tra il 1928 e il 1933 nascono le prime compagnie di prosa radiofonica; in precedenza i pezzi erano recitati da annunciatori o dilettanti, ora fanno la loro comparsa compagnie stabili, prime fra tutte quelle di Napoli e Genova. Alla fine degli anni ’20 venivano proposti atti unici, testi brevi, ma con il passare del tempo le rappresentazioni diventano composte da almeno tre atti e da numerosi personaggi. Il repertorio a cui attingere era però ancora molto povero e modesto, e al fine di incrementarlo la EIAR indisse, tra il 1928 e il 1929, concorsi per radiodrammi, che si rivelarono un flop poiché i lavori ricevuti erano di scarsissimo valore e inadatti ad ottenere alcun successo. I commediografi italiani si mostravano ancora restii a lavorare per la radio, che si configurava per loro come un territorio ancora sconosciuto. Le eccezioni, in quest’ambito, erano poche: ad esempio Luigi Garelli, che scrisse “L’anello di Teodosio”, il primo vero radiodramma italiano, un giallo comico dalla modesta trama, risalente al 1929. Poiché le novità da proporre in forma di radiodramma scarseggiavano, la EIAR si appellò al repertorio classico, a Molière, Cechov, Goldoni, riuscendo così a presentare agli ascoltatori un repertorio qualitativamente superiore rispetto a quello del circuito commerciale dei teatri ed innalzando il livello qualitativo del teatro radiofonico.

 

Per quanto riguarda le trasmissioni per bambini, dopo i successi delle stazioni di Milano, Roma e Napoli tutte le stazioni emittenti organizzarono trasmissioni per bambini. A Torino nacque “Il giornalino di Spumettino”, a Genova “La palestra dei Piccoli”, a Bologna “La palestra dei Bambini”. Il programma torinese iniziò ad esser diffuso nel settembre 1929, e continuò ad essere trasmesso fino al gennaio 1936; si trattava di un appuntamento pomeridiano creato da Giuseppe Chiorino, un maestro elementare appassionato di trasmissioni per bambini che conduceva “Il giornalino di Spumettino” insieme a Ortensia Targhetta (la quale impersonava Bollicina). Il programma comprendeva giochi, musica, concorsi e brevi novelle pedagogiche scritte dallo stesso Chiorino, che le pubblicò poi in quattro volumi. Nel momento in cui le stazioni di Milano e Torino furono unificate, i loro programmi destinati all’infanzia vennero alternati, ma il successo di Chiorino (che, durante i primi tre anni di trasmissione aveva ricevuto 70.000 letterine a cui rispondere dalla rubrica che teneva sul “Radiocorriere”) non accennò a diminuire. Radio Trieste, intanto, aveva iniziato a trasmettere “Ballila, a noi!” due volte la settimana, il lunedì e il giovedì: il lunedì erano trasmessi canti e radioscene, il giovedì veniva indicata la realizzazione di un disegno. Il programma era pensato per i bambini che ascoltassero la radio in gruppi, a scuola o nelle Case Balilla; la trasmissione era fortemente improntata di valori pedagogici fascisti, e tendeva ad indurre ad una veloce militarizzazione dei giovani ascoltatori. Il gioco del ‘disegno cifrato’ proposto dal conduttore per passi ebbe molto successo, e di sovente portava alla creazione grafica di simboli propri dell’Italia fascista.

Il successo delle trasmissioni per l’infanzia fu dovuto, innanzitutto, alla curiosità dei bambini nei confronti dello strumento radiofonico (considerato, da molti, come la ‘casetta dei nanetti’) e, in secondo luogo, all’indubbia fantasia degli autori e alle loro competenze pedagogiche. Quello dei bambini era un pubblico ben conosciuto dagli autori, omogeneo, composto da una grande ipotetica scolaresca. Il regime puntò anche la sua attenzione su queste trasmissioni, e non casualmente: la politica per l’infanzia era in una fase di grande diffusione, mirava a fini sempre più esplicitamente propagandistici, e alla OND (organizzazione strettamente legata al regime) era stato attribuito il monopolio di tutte le attività per l’infanzia e la gioventù, causando non pochi problemi con l’istituzione concorrente, la Chiesa Cattolica.

 

Per ciò che concerne le trasmissioni religiose, l’atteggiamento iniziale della Chiesa Cattolica nei confronti della radio fu di forte diffidenza e polemica. Tale diffidenza riguardava l’uso del mezzo, e non il mezzo in sé: esso si trovava infatti al di fuori del diretto controllo della gerarchia ecclesiastica. Nel 1930 ebbero inizio i lavori per la creazione di radio Vaticana da parte di Guglielmo Marconi, e l’emittente venne inaugurata nel febbraio 1931.

Alla EIAR alcune trasmissioni erano curate dai religiosi; negli anni ’20 i vescovi cattolici americani le avevano gestite al fine di rispondere all’uso massiccio della radio che i protestanti stavano attuando. In Europa le prime trasmissioni religiose erano state trasmesse in Belgio, Francia e Spagna; in Italia la prima trasmissione religiosa (oltre al domenicale concerto sacro) fu nel 1928, in occasione del VII centenario francescano. Padre Vittorino Facchintti chiese una dispensa vescovile per trasmettere un breve programma, che si rivelò un enorme successo; seguirono un ciclo di trasmissioni quaresimali e una rubrica settimanale (la domenica mattina) di lettura e commento del Vangelo. Intanto, nel 1929, vennero firmati i Patti Lateransi, ed ogni stazione emittente dovette procurarsi i suoi predicatori, questi personaggi raggiunsero una grande notorietà, e in molti casi pubblicarono poi volumi di radioprediche.

Non cessarono, però i timori della Chiesa nei confronti dell’uso improprio della radio; chiese la condanna di alcune trasmissioni radiofoniche, considerate un pericolo per i costumi che veicolavano. La Chiesa temeva l’avvento, tramite la radio, di un processo di secolarizzazione, processo che si sarebbe effettivamente concretizzato soltanto dopo la diffusione della televisione (la radio non era un mezzo di comunicazione di massa). La Chiesa temeva, in particolare, i testi teatrali attinti dal repertorio francese, ovvero quelli nei quali l’intero intreccio ruotava attorno ad un triangolo amoroso, mostrando così modelli di ‘vita irregolare’; la Chiesa riteneva queste trasmissioni prive di riguardo nei confronti di alcune fasce del pubblico, e nutriva timore anche per quelle canzoni considerate ‘allusive’ e, dunque, meritevoli di condanna.

 

Per quanto riguarda le trasmissioni di informazione, fino al 1928 i notiziari erano il vero e proprio ‘tallone d’Achille’ della EIAR. Tali notiziari si configuravano come i più poveri e scarni d’Europa, e ricevevano materiale soltanto dall’agenzia Stefani e da pochi quotidiani. L’utenza radiofonica non sembrava risentire di questa carenza, la radio era considerata esclusivamente come un mezzo di svago. Paradossalmente la carenza di informazione radiofonica venne annunciata dai diplomatici italiani all’estero: i giornalisti stranieri erano infatti costretti ad attingere notizie sull’Italia da fonti straniere, e questo poteva configurarsi come un pericolo estremamente nocivo al credito del regime. Fu allora richiesta una trasmissione di informazione serale, poiché proprio alla sera i quotidiani stranieri si sintonizzavano sulle frequenze estere per ottenere notizie per l’edizione dei quotidiani del mattino.

Dal 1929 i servizi di informazione si intensificarono nelle stazioni di Milano e Torino, e soprattutto nella stazione di Roma, che era quella principalmente ascoltata all’estero. Nacquero così i giornaliradio, realizzati da redazioni autonome e dotate di una fitta rete di corrispondenti. Molte erano le notizie di cronaca e attualità trasmesse (inerenti alle visite dei Principi, ad esempio, o all’inaugurazione delle fiere, ecc.). Lo spazio dedicato ai giornaliradio crebbe costantemente, e la radio scoprì il suo ruolo di organo di informazione. Soltanto nell’informazione sportiva vennero realizzati enormi progressi (dello sport, durante il ventennio, si occupava Ferretti), e ben presto questo divenne il settore di punta del giornalismo radiofonico. Iniziarono ben presto anche le radiocronache, la prima fu il 25 marzo 1928 per l’incontro Italia-Ungheria, fino a diventare un consueto appuntamento domenicale. Nicolò Carosio esordì in questo campo il 1 gennaio 1933, per poi diventare un divo.

 

25-03-2004

Due nodi fondamentali in questo momento storico sono la svolta del 1933 e la guerra d’Etiopia.

Fino agli anni ’30 lo sviluppo del parco abbonati era stato modesto nonostante il consolidamento dell’EIAR verificatosi tra il 1928 ed il 1929 e quello della rete radiofonica tra il 1929 ed il 1932; pur godendo della tutela governativa, l’emittente radiofonica italiana non subì straordinarie evoluzioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La EIAR durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Rispetto alla Guerra d’Etiopia, che fu breve e si concluse con una vittoria, la Seconda Guerra Mondiale presentava numerose differenze. Durante la guerra la radio ebbe un ruolo di rilievo, e tramite essa vennero annunciate le principali tappe del conflitto, dall’entrata in guerra, il 10 giugno 1940, alla liberazione, avvenuta il 25 aprile 1945.

 

L’ascolto della radio, da parte degli italiani, avveniva in scenari differenti; si possono individuare, schematicamente tre principali modalità di ascolto delle trasmissioni radiofoniche, corrispondenti a tre differenti stati d’animo:

- il primo è un tipo di ascolto collettivo, strettamente legato alla mobilitazione ed al consenso;

- il secondo consiste nell’ascolto individuale, familiare, intimista, che coincide con un atteggiamento qualunquista;

- il terzo è l’ascolto politicizzato, che avviene clandestinamente.

 

Il periodo della Seconda Guerra Mondiale può essere suddiviso in quattro grandi fasi:

1) il periodo della non-belligeranza italiana, che va dallo scoppio del conflitto all’entrata in guerra dell’Italia;

2) il periodo che va dall’entrata in guerra dell’Italia alla caduta del regime, avvenuta il 25 luglio 1943;

3) la breve fase intermedia, ovvero i 45 giorni del Governo Badoglio, dal 25 luglio 1943 all’8 settembre 1943, data dell’armistizio;

4) la fase della cosiddetta ‘guerra civile’, dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, data della liberazione (e momento in cui la EIAR si dividerà in due tronconi: uno legato alla Repubblica di Salò, l’altro formato dalle radio libere di Palermo, Roma e Napoli, i quali si sarebbero riunificati più tardi sotto il nuovo nome dell’azienda, RAI).

 

Per ciò che concerne la prima fase, corrispondente al periodo della non-belligeranza, esso venne vissuto dall’EIAR con un certo disagio, e non senza contraddizioni. Il disagio derivava dal fatto che fosse difficilmente sostenibile qualsiasi posizione di allineamento; alcune trasmissioni assunsero una patina militaresca, come i programmi per le scuole e per ragazzi. Fu lo stesso Ministro dell’Educazione, Bottai, a spingere per la militarizzazione dei programmi scolastici; dispose che ogni trasmissione fosse preceduta da un ‘appello del caduto per il Governo Fascista’, al fine di mantenere vivo il culto per gli eroi della rivoluzione. Inoltre, le trasmissioni venivano precedute da un segnale di tromba al quale i bambini, nelle scuole, si sarebbero dovuti alzare sull’attenti, in una vera e propria cerimonia militare a cui i più giovani venivano chiamati.

La militarizzazione di questi programmi non coincideva però con un chiaro indirizzo delle restanti trasmissioni. Palese segnale del clima di incertezza e disagio fu la cessazione di un programma-simbolo, “Commenti ai fatti del giorno”, creato da Forges D’Avanzati e portato avanti da altri commentatori dopo la sua morte. Tale programma venne, in questo periodo, saltuariamente rimpiazzato da “Cronache Fasciste”, e riprese soltanto a seguito dell’entrata in guerra dell’Italia, dopo un periodo di sospensione dovuto alla difficoltà della radiofonia di mantenere qualsiasi equilibrio.

Con l’approssimarsi dell’entrata in guerra non mancarono, da parte dell’EIAR, chiari segnali di svolta, tanto di natura tecnica quanto di natura amministrativa:

- per ciò che concerne i primi, dal gennaio 1940 vennero attivate le stazioni di Venezia, Firenze, e Verona, mentre le stazioni già esistenti vedevano incrementare la loro potenza in una grande opera di consolidamento tecnico;

- per quanto riguarda i secondi, l’Ispettorato per la Radiodiffusione e per la Televisione (di quest’ultima si occupava solo in via sperimentale), dipendente dal Ministero della Cultura Popolare, venne ristrutturato per volontà di Mussolini per prepararsi alle esigenze belliche; l’Ispettorato fu diviso in tre sezioni, una per le trasmissioni interne, una per le trasmissioni esterne e duna destinata all’intercettazione e al disturbo delle radio stranere.

 

Nella seconda fase, con l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, la situazione della EIAR muta. Innanzitutto viene decisa l’unificazione dei programmi: negli ultimi anni i tre canali della EIAR venivano a volte unificati e a volte lasciati scissi; si optò, con la guerra, per l’unificazione totale al fine di consentire una più semplice gestione di un palinsesto ristretto. La durata delle trasmissioni, inoltre, venne limitata, e la loro chiusura fu fissata alle ore 22 (un’ora prima rispetto al passato). Ben presto venne abolita la trasmissione della musica da ballo e di quella leggera, cercando di liberare le trasmissioni musicali dall’influenza straniera, in particolare da quella anglofona.

I mutamenti coinvolsero poi il palinsesto, che nei primi anni di guerra non risultò però rivoluzionato: le trasmissioni esistenti vennero semplicemente plasmate ed adattate alle esigenze del conflitto. Alla vigilia della guerra la musica occupava il 58% del palinsesto radiofonico giornaliero, che per il resto era occupato da prosa, spettacoli, molti radiogiornali, l’editoriale “Commenti ai fatti del giorno” e collegamenti di varia natura. Questo tipo di programmazione viene mantenuta a seguito dell’entrata in guerra, ma la musica e lo spettacolo leggero furono lievemente ridimensionati; la concentrazione delle energie dell’EIAR e dell’attenzione del pubblico si verificavano in funzione dei radiogiornali poiché era l’informazione ad essere diventata l’asse portante della programmazione quotidiana.

L’offerta della EIAR in questo periodo può essere suddivisa in quattro settori:

1) il primo è quello di maggiore importanza, composto dai programmi di informazione e propaganda;

2) il secondo è composto dalle trasmissioni di servizio;

3) il terzo comprende tutti i programmi di intrattenimento, dagli spettacoli leggeri alla musica;

4) il quarto è composto dalle trasmissioni destinate ai nemici, ai paesi neutrali e all’estero in generale.

 

Per quanto concerne il primo settore, quello dell’informazione, esso si configura come l’asse portante dell’intera programmazione: comprensibilmente, gli ascoltatori avevano sete di notizie. (Nel momento in cui si parla di regimi, non è semplice distinguere tra l’informazione e la propaganda: la loro distinzione non è lampante neppure nei casi in cui si tratti di paesi democratici, risultando particolarmente ardua in riferimento agli stati totalitari).

Le edizioni quotidiane del radiogiornale erano otto, ma due soltanto erano i momenti principali dell’informazione giornaliera: il radiogiornale delle 13 e quello delle 20. La redazione lavorava sulle linee imposte dal Ministero della Cultura Popolare, alle quali veniva aggiunto il ‘bollettino di guerra’, preparato ogni mattina dal Comando Supremo dell’Esercito Italiano e redatto in maniera definitiva per la diffusione alla radio ed alla stampa soltanto in tarda mattinata, a seguito della personale lettura ed approvazione da parte di Mussolini. Per la sua lettura fu istituito un apposito collegamento nel radiogiornale delle 13 i cui contenuti venivano poi riassunti e ripresi nelle successive edizioni del radiogiornale. Nel bollettino erano presenti gli elementi a proposito dei quali gli italiani dovevano essere informati con contenuti e stile sapientemente calibrati; solitamente erano molto ampie le informazioni inerenti alle operazioni militari, ed il bollettino si configurava come un punto di riferimenti per gli italiani. Durante tutta la durata del conflitto i modi ed i tempi della sua trasmissione furono preoccupazioni costanti di Mussolini, del Ministero e dell’intera organizzazione fascista. L’interesse del pubblico nei confronti delle notizie di guerra era autentico, e ben presto gli ascoltatori impararono a leggere tra le righe, ad interpretarne le pause e le omissioni capendo con facilità che gli esisti della guerra non erano dei più rosei.

Altro importante elemento di informazione e propaganda radiofonica furono le radiocronache, che tra il 1940 e il 1942 divennero la punta di diamante del giornalismo radiofonico del periodo. Si tratta di corrispondenze degli inviati di guerra, servizi, ricostruzioni sonore di battaglie, interviste ai soldati dell’Esercito italiano. Benché ai giorni nostri siano giunti pochi reperti sonori e scritti di queste trasmissioni, da essi si evincono con facilità le caratteristiche principali di questo tipo di trasmissioni:a situazione dei radiocronisti era di grande rischio, le loro corrispondenze dovevano essere approvate, prima della messa in onda, dai Comandi Militari e dal Ministero. A partire dalla primavera 1942 fu istituito il divieto di intervistare i soldati, ed alle limitazioni censorie si aggiungevano, naturalmente, i problemi di sicurezza personale degli inviati e la difficoltà di raccontare scenari in continuo spostamento in una guerra dispersa su fronti lontanissimi. Nonostante questo le radiocronache dimostrarono avere un grande valore, soprattutto grazie al talento dei giornalisti che le narrarono (e che, nel dopoguerra, avrebbero continuato la loro carriera in RAI). Tra di loro è opportuno ricordare Franco Cremascoli, coordinatore delle radiocronache, Mario Ortensi, Mario Ferretti, Pio Moretti, Ugo Rambelli ed i due radiocronisti più noti, Antonio Piccone Stella e Vittorio Veltroni (padre dell’attuale sindaco di Roma), i quali dimostrarono uno straordinario professionismo. Le loro radiocronache, però, non consistevano in vero e proprio giornalismo, bensì in una sorta di messa in scena, in finte radiocronache realizzate dal vivo all’interno di uno studio: i soldati invitati si limitavano a recitare al microfono testi prestabiliti alla cui lettura veniva accompagnata una sonorizzazione attraverso l’aggiunta di rumori, in un modo molto teatrale ma di grande effetto sul pubblico. Le radiocronache più seguite erano quelle incentrate sulle battaglie navali ed aeree da cui, sapeva la EIAR, gli spettatori risultavano particolarmente affascinati. Anche i racconti inerenti ai sottomarini avevano una forte presa sugli ascoltatori per i quali i sottomarini rappresentavano una grande novità; spesso, in questi casi, i radiocronisti si rivelavano particolarmente abili nel far leva sul mito e sulla modernità tecnologica. Tramite le radiocronache, di fatto, le informazioni veicolate erano pressoché inesistenti, ma la loro finalità era esclusivamente quella di suscitare emozioni. Numerosi erano anche gli interventi a proposito dei piloti arditi che, con i loro velivoli, compievano straordinarie imprese. Nelle radiocronache, spesso, erano impiegate più voci su più piani, in un modo sapiente che riusciva a rendere agli ascoltatori sequenze di grande effetto (come testimoniano le affermazioni degli ascoltatori del tempo). Le radiocronache narravano, ovviamente, anche le imprese delle truppe di terra, presentate attraverso un linguaggio retorico ed affabulante.

Le radiocronache si conclusero nel 1942, quando le sconfitte subite dall’Italia si dimostrarono insostenibili su tutti i fronti: le ritirate dell’esercito erano sempre più drammatiche, ed il culmine venne raggiunto con la sconfitta subita in Russia.

 

Per quanto riguarda le trasmissioni puramente propagandistiche, la trasmissione “Commenti ai fatti del giorno” venne ripristinata, e sarebbe stata destinata a durare fino all’aprile 1943, veniva proposta con cadenza quotidiana nella fascia oraria di maggiore ascolto, ovvero quella tra il radiogiornale delle 20 e la programmazione serale. La trasmissione non era affidata ad un unico commentatore ma a numerosi giornalisti esponenti del mondo militare e politico, individui di fiducia dei vertici, del Ministero della Cultura Popolare e legati a Pavolini. Tra di loro si possono ricordare Mario Appelius, Giovanni Ansaldo, Aldo Valori, Casini ed Ezio Maria Gray, che comunque non furono gli unici a tenere la rubrica. Tale rubrica avrebbe dovuto essere il nervo della propaganda per l’opinione pubblica e straniera, ma si rivelò un flop per due motivi.

- innanzitutto per l’errore iniziale per cui la trasmissione venne improntata sulla certezza che la guerra sarebbe stata ‘lampo’ ed avrebbe visto in tempi brevissimi la vittoria della Germania di Hitler e dell’Italia; quando si diffuse nel paese, la consapelezza che così non era la rubrica perse autorevolezza, e questo catastrofico errore iniziale rese la propaganda incoerente;

- in secondo luogo per via dell’empirismo: la rubrica era stata affidata a più giornalisti senza che ad essi fosse indicato un coerente indirizzo od una linea a cui si dovessero attenere; la rubrica era, di volta in volta, lasciata alla personalità dei singoli conversatori e si rivelava, per il pubblico, disorientante nei contenuti e nello stile (si andava dai toni aggressivi di Appelius alla pacatezza di Valori, dagli interventi politicizzati a quelli squisitamente tecnici…), in completa mancanza di un elemento unificante. Le testimonianze stesse dei protagonisti sono incoerenti: dal “Diario di prigionia” di Ansaldo, ad esempio, emerge un senso di sottomissione al Partito Nazionale Fascista e all’influenza di Ciano (che considerava Ansaldo come il suo ‘uomo di fiducia’ per quella trasmissione); Ansaldo, nelle sue riflessioni, sperava che l’Italia si sarebbe ben presto sganciata dalla Germania, ricevendo in proposito lettere degli ascoltatori che esprimevano disprezzo e consenso che lo rendevano sempre più esitante nell’esporsi nelle conversazioni radiofoniche. Un altro protagonista, Mario Appelius, considerato da molti il ‘numero uno’ nella propaganda del regime, utilizzava un linguaggio diretto, energico, frasi brevi ma estremamente colorite che puntavano all’emotività del pubblico (soprattutto di quello popolare); col tempo, il regime smise di apprezzare il lavoro di Appelius per via dei toni da lui impiegati, troppo crudi e violenti, considerati inopportuni. Le sue conversazioni radiofoniche vengono progressivamente diradate fino a che, nel gennaio 1943, pronunciò una frase in cui l’anno veniva definito “di sangue e di dolore”, e preannunciava che le truppe vincitrici di quell’anno avrebbero vinto l’intera guerra; il suo tono, apocalittico e premonitore, determinò la sua caduta, e quel discorso radiofonico fu, per Appelius, l’ultimo. Ben presto, comunque, la EIAR avrebbe posto fine all’intera trasmissione.

Ad essa ne erano state affiancate altre nel corso del tempo, tutte aventi in comune il problema delle voci discordi; la più importante, tra queste, è “I cinque minuti del Signor X”, nata l’11 agosto 1942 con un altro, lunghissimo titolo, e poi rinominata il 22 agosto dello stesso anno. Il giornalista che la teneva era anonimo, e la trasmissione consisteva in pochi minuti di conversazione all’interno dei quali, a volte, parlava Mussolini stesso. La rubrica si concluse nel 1943, in pieno periodo badogliano. Tra il settembre 1942 ed il giugno 1943 “I cinque minuti del signor x” si era specializzata in una funzione ‘anti Radio Londra’, volta a mettere costantemente alla berlina l’emittente straniera; da Radio Londra non tardarono ad arrivare, in tutta risposta le critiche del Colonnello Stevens, che dai suoi microfoni si chiedeva, sarcasticamente, che bisogno ci fosse di un nuovo commentatore anonimo e spiegava come Radio Londra non avesse alcun timore della messa in luce delle debolezze del suo esercito e della sua cultura perché già le conosceva (in generale, questo argomento era utilizzato dalla propaganda di radio Londra con grande efficacia).

All’interno di questa tipologia di trasmissioni esistevano programmi destinati a specifici settori del pubblico, i quali erano stati concordati con le organizzazioni di massa del Fascismo. Tra di essi vi era “Radio GIL”, dedicato ai giovani e ai giovanissimi; era una trasmissione inquadrata nelle attività del Partito Nazionale Fascista, diffusa il sabato e la domenica e destinata all’animazione culturale e politica dei giovani provenienti da diverse regioni d’Italia; si trattava di una rubrica contenitore, al cui interno si susseguivano musica, scenette, interviste, brevi documentari, molti reportage sportivi. Altra trasmissione settoriale era la “Trasmissione per la donna italiana”, coordinata dall’Ufficio Stampa e Propaganda del partito Nazionale fascista, i cui contenuti erano scelti in collaborazione con i fasci femminili; ospitava, al suo interno, comunicazioni ufficiali, consigli di cucina e di moda.