VARESE Non siamo soli nell'universo. Varese ci crede e per un giorno diventa capitale mondiale della ricerca di intelligenze extraterrestri.
Ieri all'Insubria si sono riuniti i massimi esperti di bioastronomia e del Seti mondiale (Search for extra terrestrial intelligence), l'ente di ricerca di intelligenza extraterrestre, per mettere insieme nuovi elementi certi di una domanda atavica sull'esistenza di E.T. ma anche per celebrare il 50° anniversario del Progetto Ozma: la prima ricerca di segnali artificiali, che iniziò l'8 aprile 1960 per opera di Frank Drake.

Da qui la convenzionale data di nascita della bioastronomia, cioè della ricerca della vita al di fuori della biosfera terrestre. «Proprio a Varese ha sede il Seti Italia G. Cocconi» ha spiegato Bruno Moretti Turri, direttore del centro «e qui lavora il più grande gruppo europeo di astronomi e radioamatori dedito alla ricerca di segnali extraterrestri». Un centro di eccellenza, che porta il Seti Italia all'avanguardia mondiale insieme ad America e Australia, e che lavora da anni allo studio dei segnali provenienti dallo spazio, elaborando via internet i dati raccolti dal radiotelescopio di Arecibo, il più grande del mondo. «C'è tantissima gente che crede agli Ufo» ha raccontato Turri «nei quali noi non crediamo assolutamente, ma, data l'immensità della galassia e data l'esistenza di miliardi di stelle, pensiamo che potremmo non essere soli”»a aggiunto il direttore del Seti.


Ma il condizionale è d'obbligo ha subito precisato: «Potremmo non essere soli e continueremo a lavorare per dimostrarlo, ma finora dalle nostre osservazioni e registrazioni abbiamo riscontrato soltanto segnali naturali» provenienti dalle stelle, dagli altri pianeti, e dalla ricca attività che circonda la Terra. Come, dove e cosa cercare allora per capire se davvero qualche E.T. esiste? «Nella galassia nella quale ci troviamo noi abitiamo in periferia» ha raccontato Stelio Montebugnoli, direttore del Seti Italia e Radiotelescopi di Bologna «e ci vorrebbero 75mila anni luce se volessimo andare dall'altro lato». Spazi immensi. «Se volessimo chiedere “come stai” all'E.T. che si trova su uno dei pianeti più vicini ci vorrebbero 10mila anni per fargli arrivare la domanda, e altri 10mila per ottenere la risposta, sempre ammesso di parlare la stessa lingua» ha aggiunto Montebugnoli.

Il problema dunque non è tanto la possibilità di vita al di fuori della Terra: «Il numero di stelle che popolano lo spazio è enorme - ha spiegato Montebugnoli – ed i principali elementi chimici necessari alla vita sono diffusi, è quindi alta la probabilità di esistenza di altre civiltà e forme di vita»; il problema è relativo alla possibilità di incontrarle, «le distanze sono così immense che bisognerebbe viaggiare nel tempo per raggiungersi». La ricerca di E.T va allora ascoltata, ha spiegato Montebugnoli: «Ma non con le cuffiette o con le navicelle come fanno nei film, bensì con potentissimi analizzatori di spettro». Quello che viene ricercato è un segnale radio. «Le onde radio si propagano nello spazio riuscendo a superare molti ostacoli» ha concluso Montebugnoli.
Silvia Bottelli

Fonte: http://www.laprovinciadivarese.it